STORIA DEL KRABI KRABONG
Io e
Pongsak ci siamo dati l'appuntamento per la sera davanti al centro commerciale
Pata, vuole portarmi a vedere il film storico : "Bang Rajan". Esso è
una ricostruzione fedele di uno degli eventi più drammatici della lunga guerra
tra Thai e Birmani. Ambientato circa trecento anni fa durante l'ultimo
grande tentativo di conquista Birmano, accadde che in un villaggio Thai,
il cui nome per l'appunto è "Bang Rajan", fu organizzata un'eroica
resistenza agli invasori.
Contadini, uomini, donne e bambini addestrati al Krabi Krabong, opposero una
strenua resistenza contro un esercito cento volte più consistente e ben
equipaggiato, dotato anche di fucili e cannoni.
A tutto
ciò, quella povera gente, consapevole di non avere scampo, oppose tutto il
coraggio e tutta la loro abilità nell' "Arte Mortale" e, per
ben nove volte respinsero gli invasori. Il villaggio era situato in uno snodo
strategico per la conquista di Ayutthia, quindi doveva cadere.
Il capo
villaggio inviò alla corte del Re Ekkathat un messo, con l'intento di spiegare
quello che stava accadendo e per chiedere uomini e mezzi. Il Re, una persona
dissoluta ed indifferente a quello che succedeva, più interessato a scopare le
sue numerose mogli che di impugnare le armi, rifiutò qualunque aiuto. Il messo
gentilmente allora gli chiese solo dei cannoni, per poter poi contrastare meglio
l'armata Birmana che ne era ben fornita. Il Re ancora una volta oppose uno
sdegnoso rifiuto e congedò il pover uomo. Solo una manciata di soldati, visto
l'accaduto, disertarono, unendosi ai contadini, ma la storia oramai volgeva al
suo tragico quanto ineluttabile destino .
I
Birmani cinsero d'assedio il villaggio, posizionarono i cannoni e aprirono il
fuoco, non senza prima aver chiarito con gli asserragliati, che sarebbero stati
trucidati tutti, dal primo all'ultimo, compresi i bambini, i vecchi, gli
animali, e che sulla loro terra avrebbero sparso sale.
I Thai,
il giorno prima dell'assedio, avevano fuso le armature sottratte ai birmani
uccisi nelle precedenti battaglie, e da un rudimentale stampo in creta ne
avevano ricavato un cannone, la cui canna però era ancora troppo calda per
essere utilizzata. Fu così che all'apertura delle ostilità, dopo pochi colpi
sparati, il cannone esplose, lasciandoli così privi dell'unica arma da fuoco
che possedevano.
Nel film
è tristissima la scena in cui madri e padri, abbracciano per l'ultima volta i
figlioletti ancora in fasce, per poi metterli nelle mani magre delle nonne,
tutti consapevoli che nessuno di loro si salverà.
Magica
l'atmosfera nella quale si svolge l'ultimo atto. Tutti coloro, giovani , vecchi,
donne, staccano dal muro le loro micidiali sciabole corte Mee Dab, affilate come
rasoi, si radunano al centro del villaggio per eseguire il Ram Awut, le Danze
Sacre del Guerriero, recitano i mantra d'unificazione e si preparano al duello
mortale con il nemico, con l'unico desiderio di portargli quanta più
distruzione possibile.
Le porte
ad un tratto si aprono e, con un grido furioso si lanciano sui Birmani, per un
ultima orgia di sangue. I combattimenti sono di una violenza e di un realismo
tali da togliere il fiato allo spettatore, tutti combatteranno senza arrendersi,
fino all'ultimo, infliggendo all'esercito nemico perdite tali da comprometterne
gravemente le forze.
Moriranno tutti come promesso, ma il loro valore farà scatenare l'orgoglio,
l'onore e l'ira, dell'uomo che distruggerà l'esercito birmano, riccacciandolo là
da dove era venuto e ancor più sottraendogli terre che gli appartenevano: Tak
Sin, colui che sarebbe in seguito diventato il nuovo Re del Siam.
Questa
è in breve, la storia, ma sulle gesta del grande Re Tak Sin tornerò più
avanti poichè è stato uno di quei personaggi che più di tutti, ha dato
impulso allo sviluppo del Krabi Krabong.
Quello
che succede in Siam, dopo l'evento storico accaduto a Bang Rajan, è
importantissimo per comprendere l'impulso dato al Krabi Krabong e farsi un idea
dello spirito indomito di questo popolo. La figure di Re Tak Sin è di così
grande valore e di così grandi meriti per la Thailandia che è degno di essere
conosciuto più a fondo.
Egli
nacque a Raiong il 7 aprile 1734, quando ancora bambino raggiunse l'età di sei
anni venne adottato dal primo ministro e a 7 inviato a studiare nella pagoda Kòsa
Wat, sotto la guida del bonzo Thong Di.
In quel
tempo, in Siam, non vi erano scuole, nè pubbliche, ne private. Tutta la cultura
era in mano ai Monaci che la conservavano gelosamente, sopratutto per insegnare
ai contemporanei e tramandare ai posteri la dottrina di Buddha, a mano a
mano che veniva tradotta o riscritta dal sanscrito o dal Pali o makhot (antica
lingua indiana). Essi tuttavia davano anche lezioni e insegnavano a leggere e a
scrivere ai figli della famiglia reale, dei nobili e dei funzionari di stato. Ma
di solito questi ragazzi si facevano monaci ed entravano in convento anch'essi
rimanendovi tutto il tempo necessario a farsi una discreta cultura, terminata la
quale potevano scegliere o di continuare la carriera ecclesiastica, che era
molto stimata ed ambita, oppure di rientrare in seno alle loro famiglie ed
iniziare una carriera governativa o un attività commerciale. Naturalmente
studiavano anche le arti marziali, raggiungendo sovente livelli eccellenti.
Anche il
nostro Tak Sin, dopo sette anni di studio, si trovò al bivio. Egli scelse la
vita monastica. Fu perciò accolto tra i novizi della pagoda Sam Vihàrn,
accedendo al primo dei nove gradini della carriera buddhista. E' in quella
pagoda ch'egli incontrò due altri novizi che dovevano poi diventare non solo i
suoi più cari amici, ma sopratutto, i suoi migliori collaboratori. Si
chiamavano Thong Dùang e Bun Ma, ed erano fratelli.
Dopo
qualche tempo tuttavia, i genitori decisero di toglierli dal convento e di
avviarli alla carriera governativa, avviandoli a corte come paggi: Tak Sin nel
Palazzo Centrale, del Re, gli altri due nel Palazzo Anteriore, del vicerè. In
seguito, Tak Sin e Thong Duan abbandonarono la corte per ritornare in convento e
furono ordinati bonzi; il primo nella pagoda Kòsa Wat, il secondo nella pagoda
Mahà Talai.
I due
amici, comunque, continuarono a frequentarsi ogni mattina, quando secondo il
costume buddhista, tutti i bonzi escono dal monastero per le vie della città
per la questua del cibo giornaliero: un solo pasto al giorno, offerto dalla
gente e che deve essere consumato entro la mattinata. Si narra che in uno di
quei giri, un giorno i due amici si imbatterono in un chiromante che, leggendo
loro la mano, predisse che sarebbero diventati entrambi re. I due amici,
naturalmente ci risero sopra e proseguirono per la loro strada, ma i fatti poi
avrebbero confermato quella predizione.
Richiamati a corte, dovettero
lasciare nuovamente il saio arancione, per riprendere la divisa dei funzionari
di stato. Tak Sin fu inviato come vicegovernatore nella città di Tak dove, alla
morte del governatore, prese il suo posto, col titolo di Phaià Tak. In seguito
il suo protettorato si ingrandì con l'aggiunta di Phitsanulok e infine,
chiamato nella capitale, ebbe l'ordine di correre in aiuto di Phet Buri e poi di
collaborare alla difesa di della capitale assediata dai Birmani. La tempo della
caduta dell’antica capitale siamese, nel 1767, quando la città destabilizzata
era volta alla distruzione, le truppe birmane presero un gruppo di dignitari
thai come prigionieri. Tra di loro naturalmente si trovavano anche parecchi
esperti di Krabi Krabong che furono presi dal birmano Suki Phra Nai Kong.
Nel 1774 il Re dei Birmani Mangra decise di organizzare nella capitale Rangoon,
una celebrazione di sette giorni e sette notti per onorare la pagoda dove erano
conservate le reliquie del Buddha: Egli ordinò una presentazione reale di un
incontro all’ultimo sangue tra i guerrieri Thai prigionieri e i migliori
guerrieri Birmani. Il ring per la Boxe fu eretto dinnanzi al trono e, durante il
primo giorno di celebrazioni, un nobile birmano di alto rango costrinse dei
prigionieri thai a rendere omaggio al Re Mangra, insultando, deridendo e
sfidando il valore dei siamesi.
Il
Re Mangra dette ordine al boxer birmano di provare le sue affermazioni e si
rivolse ai prigionieri thai chiedendo se qualcuno di loro se la sentiva di
accettare la sfida lanciata: “Chi tra di voi, da solo, avrà il coraggio
di ergersi contro i miei migliori guerrieri sconfiggendoli, avrà in cambio la
libertà per se e i suoi compagni, e potrà così ritornare nel suo paese come
un eroe, diversamente vi farò uccidere tutti!”. Un uomo si alzò in piedi,
aveva una vita sottile, un torace grande e spalle possenti; uscì dal gruppo
folto dei prigionieri camminando lentamente. Il suo portamento era solenne, i
suoi movimenti erano sciolti e fluidi come quelli di una tigre, i muscoli come
corde d’acciaio guizzavano sotto una pelle abbronzata; l’insieme incuteva
timore e rispetto. I guerrieri birmani si scostarono intimiditi al suo
passaggio, si fermò dinnanzi al re senza chinarsi e la sua voce rispose, calma
e solenne: “ Accetto la sfida!” Quando i prigionieri thai videro chi era
colui che, impavido e senza timore, aveva accolto la sfida estrema, sentirono un
sussulto incontenibile di gioia riempire il loro cuore e capirono che il cielo
aveva inviato il loro campione; gli Dei avevano fatto la loro scelta. L’uomo,
sempre lentamente, a testa alta, si diresse verso il ring che era stato eretto;
i muscoli ora parevano tesi come quelli di una tigre mentre si prepara al balzo
mortale, gli occhi parevano due tizzoni ardenti: “Il Re si accorgerà fin
troppo presto dell’errore che ha commesso” – pare abbia sussurrato il
guerriero thai.
La
sua mente ritornava senza sosta alle immagini del suo ritorno nel villaggio,
quando ad attenderlo, anziché i sorrisi dei parenti, aveva incontrato le teste
decapitate della madre, del padre e della sorella, infisse su dei pali assieme a
quelle di tanti suoi amici secondo l’usanza dei soldati birmani. Ripensava
all’infanzia felice, all’amore, ai sorrisi, alle carezze e ai consigli saggi
della madre, al Krabi Krabong che aveva appreso da un vecchio vagabondo gentile
e ai numerosi tornei di Mae Mai Muay Thai che aveva vinto con quelle
tecniche che aveva appreso da quell’anziano generoso. All’affetto di quel
povero uomo che, come un padre si era preso cura di lui, trasmettendogli tutti i
segreti delle Arti Mortali. Quelle teste lo avevano fissato con i loro sguardi
vacui, gli occhi vuoti di ogni espressione; per lui non vi sarebbero stati più
sorrisi! Nel cuore gonfio di emozioni, un dolore sordo ed una rabbia cieca
invadeva tutti i suoi sensi, solamente un Mantra riecheggiava ritmico come un
tamburo nella sua mente: “Vendetta! Vendetta! Vendetta!…ora è giunta
l’ora di saldare il conto, di chiudere il cerchio, il vostro Karma è arrivato
e sarà tremendo! Io sono il vostro Karma… e non avrò bisogno di lame per
compiere la mia opera! Nessuno finora mi ha mai sconfitto a mani nude, non ho
mai perso un incontro e non perderò nemmeno questo; a qualunque costo, ma vi
ammazzerò tutti come dei cani!” Un arbitro condusse il prigioniero e lo
fece introdurre nel ring, ponendolo dinnanzi al birmano. I numerosissimi
spettatori birmani, venuti ad assistere da ogni parte del paese, lo coprivano di
insulti ed ingiurie di ogni tipo, dall’altra parte invece stava il gruppo
numeroso dei prigionieri thai, che applaudivano e cercavano di sostenere il loro
campione, nella consapevolezza che le loro vite dipendevano ora
completamente da lui. Quando quest’ultimo fu posto in combattimento con
il birmano, iniziò ad eseguire le Danze Sacre Ram Muay, suscitando ancor più
la derisione di tutti i birmani. L’arbitro annunciò quindi che la danza era
una cerimonia tipicamente thailandese chiamata Ram Muay e Wai Khru, attraverso
la quale il Boxer rendeva omaggio e rispetto al suo Re e al suo Maestro. Nai
Khanom Thom si muoveva molto lentamente, invocava la protezione degli Dei,
offriva a loro, al suo maestro, alla mamma e alla sorella il suo combattimento.
La sua mente ancora una volta sostò dinnanzi al Vuoto e se ne sentì riempire,
capì istintivamente che anche gli Dei si erano schierati dalla sua parte e
avrebbero lottato con lui, dentro di lui. Quando venne dato il segnale di inizio
dell’incontro, questi attaccò come un uragano impazzito il nemico che aveva
lanciato le ingiurie, lo raggiunse con una successione di colpi di gomito al
torace, finchè l’altro non cadde a terra morto collassato. Combattere contro
un uomo come questo era come lottare contro un immane forza primitiva, quelle
braccia avevano piegato ogni sforzo del suo avversario, con una facilità che
metteva panico e i suoi pugni parevano pesanti come meteore, inarrestabili.
L’arbitro giudicò che il K:O: non si doveva considerare un segno di vittoria
da parte del thailandese, poiché il lottatore birmano era stato distratto dalla
danza dell’altro. Imperturbabile, Nai Khanom Thom dovette confrontarsi con
altri nove tra i migliori boxer birmani esperti in Bando e Thaing e ciò
naturalmente provocò la reazione indignata degli altri prigionieri che volevano
dar battaglia schierandosi al suo fianco. Ma Nai Khanom Thom li fermò, calmo ed
implacabile disse loro di non temere, ed accettò di combattere da solo contro
qualunque avversario il re birmano avesse scelto per lui, per dimostrare
inequivocabilmente l’onore e la volontà del suo popolo di riconquistare la
libertà grazie alla superiorità delle sue arti guerriere. Il corpo addestrato
del Thailandese intonò una canzone di morte; in una sinfonia di calci, pugni,
ginocchia, gomiti, testate, spallate e proiezioni, uno dopo l’altro abbattè
con inesorabile ferocia altri cinque avversari che gli misero dinnanzi;
sembrava l’immagine vivente dell’invincibilità primitiva: le gambe aperte e
flesse, la testa in avanti, i pugni come dei magli chiusi, una smorfia feroce
sul volto, gli occhi che mandavano fiamme. Gli avversari rimasti ora tremavano
terrorizzati: per quanto feroci e usi a combattere essi tuttavia appartenevano
alla nobiltà, erano cavalieri di alto rango. Il Thailandese appariva invece
come un incarnazione della morte; anche stanca e ferita, la tigre può ancora
uccidere, e loro avevano già capito: non vi sarebbe stata né speranza, né
pietà ad attenderli. Il suo ultimo avversario fu un maestro di Boxe
Birmana che aveva studiato per molti anni in Cina a Shaolin e portava con se la
fama di essere un uomo invincibile. Questo grandissimo esperto era venuto dalla
lontana città di Ya Kai per assistere alle celebrazioni e offeso dalla bravura
del thailandese si era sentito in dovere di sfidarlo. Anche se non era stato
ufficialmente invitato a farlo, era una questione d’onore che andava risolta.
In una frenetica furia prossima alla follia, Nai Khanom Thom lo attaccò, i
muscoli possenti delle sue braccia si contrassero, anticipando i colpi mortali
che avrebbero sferrato. Il Boxer Birmano era un guerriero esperto, ma per quanto
esperto fosse non poteva sospettare la disperata velocità che riescono a
raggiungere i muscoli di un fuoriclasse preparato come il thai. Fu colto di
sorpresa, sbilanciato, messo fuori guardia e travolto. Prima ancora che potesse
recuperare l’equilibrio, accennare a colpire o anche solo a parare, una
gomitata di Nai lo raggiunse furiosamente alla gola. Il risultato finale fu che
anch’esso morì straziato dai colpi di Nai Khanom Thom, che prima di finirlo
gli volle ruppere una ad una tutte le ossa del corpo, così che potesse fungere
da eloquente monito per altri eventuali sfidanti. E così fu ! Il Re Mangra
rimase così shockato e sbalordito dalle tecniche di Krabi Krabong che fece
convocare Nai Khanom Thom per ricompensarlo e gli chiese se preferiva soldi o
delle belle mogli. Il nostro eroe rispose che per lui fare soldi combattendo non
era difficile, ma che trovare due brave mogli non era altrettanto facile.
Così il
Re Mangra rispettò l’impegno donandogli due bellissime ragazze birmane della
tribù Mon e il nostro eroe tornò con loro e tutto il gruppo dei prigionieri in
Thailandia e visse felicemente con esse fino alla fine dei suoi giorni. Egli è
considerato il primo boxer Thailandese ad aver dato inizio alla fama di
invincibilità del Mae Mai Muay Thai che poi si è esteso nella figlia
Boxe Thai moderna fino ai giorni nostri. Questo episodio è rimasto registrato
negli annali della storia birmana ed è tutt’ora consultabile. Esso riporta
testualmente: “Anche se a mani nude e senza armi, un singolo uomo fu in grado
di sopraffare ed uccidere diversi avversari; il suo talento sembrava magico”.
La fama del Muay Thai era cominciata. C’è una sorta di poesia o di cantata
che dice:
“Non
c’è nessun altra arte come quella dei Thai
pugni,
ginocchia, piedi e gomiti sono tutti usati
ed
il lottatore, non importa la tagli, o quanto piccolo sia
non
può essere vinto.
Tutti
i nove campioni birmani furono sconfitti
Dal
tailandese Noi Khanom Tom
Il
suo nome risuona ancora con grande fama.
Benché
ora sia morto
Il
suo nome vive ancora:
Egli
che nacque nei tempi antichi
Ancora
viene ricordato.
Portò
la nostra nazione all’onore e alla gloria,
noi
tutti lo ammiriamo.”
Torniamo
ora al nostro carissimo Tak Sin e vediamo cosa successe a lui, mentre avvenivano
i fatti che vi ho sopra descritto. A causa dei fortissimi contrasti avuti con il
Re Ekkathat, di cui ho già parlato nella storia di Bang Rajan, dovette presto
abbandonare Ayutthia per mettersi in salvo e organizzare, finalmente a modo suo,
la difesa della nazione.
Rifugiatosi a Rajong con i suoi 500 uomini, appena ebbe la notizia della caduta
di Ayutthia e del rientro in forze delle truppe birmane, egli si diede subito da
fare. Sapeva che molte città e province, per consiglio ed istigazione dei
birmani si erano rese autonome, secondo il motto. " divide et impera".
Una nazione divisa è sempre più facile da tenere in soggezione e meno
pericolosa di una nazione unita e compatta.
Ma se ciò
faceva comodo ai dominatori, comodo faceva anche a Tak Sin, infatti mentre
sarebbe stata un impresa pressochè impossibile, lottare contro l'intera
Thailandia unita, molto più facilmente avrebbe potuto assoggettare città
per città e provincia per provincia dal momento che agivano separatamente ed
erano perciò più deboli. Bisognava però essere tempestivi e rapidi, prima che
gli invasori capissero la strategia ed intervenissero con più massicce forze.
E Tak
Sin non perse tempo. Migliorò il coefficiente di abilità nel Krabi Krabong dei
suoi uomini, reclutò i volontari, che per amor di patria gli chiedevano di
entrare nel suo esercito e fu tra di loro, tra i più forti combattenti di arti
marziali che si distinse Phraia Phiciai, quello che sarebbe in seguito divenuto
il Sacro Guerriero dalla Spada Spezzata. Quest'ultimo aveva studiato tutti gli
stili e tutte le scuole di Krabi Krabong, vinto tutti i tornei di Mae Mai Muay
Thai (pugilato tradizionale antico) e con le armi bianche. Era un
individuo eccezionalmente dotato e con un abilità straordinaria, assolutamente
fuori dalla norma, che già aveva ucciso nelle competizioni avversari che erano
considerati imbattibili. Egli divenne uno dei comandanti di Tak Sin e sua
guardia personale.
Tak Sin
cominciò subito a sottomettersi Ciànthà Buri, la città più vicina, che tra
l'altro era stata così scortese da rifiutargli ospitalità e osò dire che non
gradiva la presenza di un ribelle, nelle sue vicinanze. Quindi conquistò Chon
Buri e molte altre città dell'est; nel giro di pochi mesi, una grande parte
delle regioni centro - orientali era in suo potere, mentre il suo prestigio e la
sua fama erano saliti alle stelle. Molti governatori si sottomettevano oramai
volontariamente, vedendo in lui l'uomo de destino, colui che avrebbe riscattato
l'onore della nazione.
Il suo
esercito nel frattempo, da 500 uomini era salito a 5000. Tutti bene equipaggiati
e sopratutto ben motivati, entusiasti e decisi a tutto per riguadagnare la loro
patria.
Ancora
una volta, i Thai, guidati da un uomo degno di loro, sentirono bruciare l'animo
di amor patrio e di un inarrestabile slancio verso la ricostruzione della loro
nazione.
Tak Sin
capì allora che era giunta l'ora della riscossa, il momento giusto per
disintegrare i nemici , cacciarli al di là dei confini e sterminarli.
Poichè
il grosso della formazione birmana con il suo comandante in capo, sostava nei
pressi di Ayutthia, puntò decisamente sulla capitale. Allestita una flotta con
un centinaio di imbarcazioni, prese il mare a Chon Buri ed entrò nel fiume Chao
Phya e conquistò Thonburi (a Bangkok), facendo decapitare il governatore che si
era alleato con i birmani, affinchè fosse monito per tutti gli altri
collaborazionisti del nemico.
Il
comandante birmano, alla notizia, inviò un distaccamento delle sue truppe,
comandate da Mong Ia, sicuro che non avrebbe avuto difficoltà a reprimere la
rivolta e disperdere i Thai. Ma gli uomini di Mong Ia non erano tutti birmani;
anzi la maggior parte erano Thai obbligati dai dominatori a combattere per loro.
Quest'ultimi, appena giunti nei pressi di Thonburi, disertarono in massa e
passarono dalla parte di Tak Sin.
Mong Ia
dovette fuggire a gambe levate e riunirsi con il grosso delle truppe di stanza
ad Ayutthia, onde poter opporre una valida resistenza ai Thai oramai risoluti a
combattere fino all'ultimo se necessario.
Questi,
corsi all'inseguimento di Mong Ia e i suoi superstiti, lo raggiunsero nè i
pressi di Ayutthia che, nonostante l'intervento del comandante in capo Su Ki con
tutta la guarnigione, furono completamente sbaragliati e massacrati. La sera
prima dell'attacco finale, Tak Sin da l'ordine che i suoi uomini vengano
rifocillati di cibo in abbondanza, poi ordina che tutte le vettovaglie vengano
distrutte e le cibarie bruciate, concluderà queste azioni dicendo loro
che non vi sarebbero stati altri pasti fino alla presa di Ayutthia.
Fa
chiamare un arciere, che con abilità scaglia una freccia dentro le mura della
città, con allegato un messaggio per il governatore: _ Ayutthia è la mia
sposa, domani la verrò a riprendere! _.
Con i
cocci dei piatti e dei bicchieri rotti in quella storica occasione è
stato poi edificato il bellissimo Wat Arun, immortalato in tutte le fotografie
della Thailandia, in genere al tramonto, quando si staglia verso un cielo rosso,
come una grande piramide con le quatto guglie attorno, più basse.
In
quella battaglia cadde lo stesso comandante birmano e Tak Sin potè recuperare
un ingente quantitativo di bottino razziato negli ultimi mesi e destinato alla
Birmania, e liberando un gran numero di prigionieri nobili, principi e
principesse, rastrellati nelle varie città e pronti per essere deportati come
ostaggi.
Questa
vittoria dei Thai, segnò definitivamente la liberazione del Siam dal dominio
dei Birmani, durato soli sei mesi e Tak Sin fu acclamato il suo grande
Liberatore.
Magnanimo di cuore e dimentico dei torti subiti, Tak Sin volle dare al suo
ultimo re, degne onoranze funebri. Fece perciò esumare la sua salma, e la fece
cremare con una solenne cerimonia, decise in seguito, dopo aver constatato gli
ingenti danni subiti, di trasferire la capitale della Thailandia da Ayutthia a
Thonburi, la cittadella che sorgeva sul lato destro del Chao Phya, di fronte
all'antico villaggio di Bang Kok.
Oggi
Thonburi è un tutt'uno con Bangkok, ma può esserne considerata il centro
storico, la fortuna vuole che la casa di mia moglie, in Siam Ban Khen sia a
duecento metri dal Wat Arun, nella zona più bella della città. Qui, Tak Sin
nel dicembre del 1768, fu acclamato dal popolo re del Siam.
Il nuovo
re allora onorò Bun Ma, che l'aveva seguito da Chom Buri nella campagna contro
i Birmani, del titolo di Phra Maha Montri e lo inviò a chiamare suo fratello
Thong Duang, che si era nascosto a Rat Buri per sfuggire ai birmani che
occupavano ancora quella zona. Anch'egli fu nominato da Tak Sin generale
dell'esercito con il nome di Phra Ràcia Varìn. Da allora in poi i due fratelli
furono i più diretti e generosi collaboratori del re Tak Sin, partecipando come
comandanti in capo dell'esercito a tutte le campagne di liberazione del Siam dal
dominio birmano.
Rimanevano infatti ancora alcune città, specialmente di confine, ancora sotto
la loro dominazione; vi era dunque ancora parecchio lavoro da fare prima di
poter impugnare bene la situazione, ma re Tak Sin e i suoi uomini non si persero
d'animo, anzi spinti da rinnovato entusiasmo per le vittorie conseguite,
proseguirono con sempre maggior impegno nell'opera di unificazione della loro
patria.
Tak Sin,
cambiando tattica, decise di non attaccare per il momento i pochi sfigati
birmani rimasti in territorio Thai, tanto più che sapeva che la loro madre
patria, attaccata dai Cinesi, non avrebbe potuto mandare loro rinforzi. Decise
così di concentrarsi per unificare quei territori Thai che ancora erano
indipendenti. Avrebbe così potuto disporre di maggiori risorse, sia di viveri
che di uomini, per dare l'ultimo colpo di grazia ai birmani e cacciarli per
sempre. Inviò messaggeri a Khorat, a Phitsanulok, a Uttaradit, a Nakkhon Si
Thammarat, invitando i rispettivi re o governatori a sottomettersi al governo
centrale, nell'interesse di tutti. Ma questi non vollero sottomettersi, nè
riconoscere lui come re. Tak Sin senza problemi iniziò a " menare le
mani", partì dunque con 15.000 uomini e 200 imbarcazioni verso Phitsanulok,
ma nel primo scontro rimase ferito ad una gamba e fu costretto a ritirarsi. Nel
frattempo in quella città venne a morire il reggente che fu sostituito dal
fratello Akon, uomo debole e conciliante che si lasciò sottomettere senza tanti
problemi. Mentre si riprendeva, Tak Sin mandò i due fratelli a sottomettere
Khoràt, impresa che riuscì felicemente. I due fratelli tornarono a Thonburi
col principe Thep Phiphit che, consegnato nelle mani di Tak Sin, venne fatto
decapitare per aver sprezzantemente rifiutato di riconoscerlo come re.
Una
volta assicurato il dominio su tutta la parte orientale del Siam, Tak Sin inviò
un ambasciatore in Cambogia per annunciare la sua autorità di Re e il suo
diritto di riscuotere tributi dagli stati vassalli. Ma il Re Uthai della
Cambogia rifiutò entrambe le condizioni. Allora Tak Sin spedì
verso la Cambogia, da direzioni diverse, due eserciti, comandati dai due
fratelli suoi amici, che conquistarono l'uno la città di Siem Rap (Angkor
Vat) e l'altro quella di Battambang, entrambe in territorio cambogiano.; pago di
questa conquista, fece poi rientrare i due eserciti. Passo dopo passo, il
re conquistò tutti i territori che voleva, giungendo ad annettersi anche i
sultanati della Malesia. A completare la sua opera mancavano solamente Chang
Mai, il Laos e parte della Cambogia. La Cambogia per resistergli chiese l'aiuto
del Vietnam che glielo concesse, ma quando arrivarono le armate Thai, il Viet Vo
Dao o il Vo Vi Nam non sembrarono essere arti molto efficaci.
Anche i
Vietnamiti dovettero piegare la testa e scappare abbandonando l'alleato, così
anche la Cambogia divenne territorio Thai e il nuovo governatore fece voto di
vassallaggio.
Conclusa
questa felice campagna, mancava al nord Chang Mai, ma proprio in questo tempo,
tornarono a farsi vivi anche i birmani che erano riusciti a vincere i Cinesi
ricacciandoli dal nord del loro paese.
Essi
avevano inviato due eserciti per riprendersi la Thailandia, uno ad attaccare il
nord e l'altro ad attaccare il centro sud. Thong Duan, che sarebbe poi divenuto
Chao Phraia Chakri I, cinse d'assedio Chang Mai in attesa che arrivasse anche re
Tak Sin, mentre l'altro fratello sbaragliata l'armata birmana a sud si riunì
con il primo per lo scontro finale. Finalmente diedero l'assalto, e fu qui che
divenne leggendaria la fama di Phraia Pichai; mentre il Re, che non amava stare
a guardare dall'alto, combatteva in mezzo ai suoi uomini, vennero circondati.
Brandendo le due spade Praia Piciai si diresse decisamente contro gli uomini che
stavano arrivando. In un attimo fu su di loro e, senza quasi che se ne potessero
accorgere, con la velocità di un lampo ne abbattè tre. La reazione degli altri
fu istantanea. Si alzò assordante il rumore dell’acciaio, e sprizzarono
scintille quando le sue lame si abbattevano su elmi e corazze. Le spade nemiche
frustavano l’aria vuota, e scivo9lavano deflesse sulle sue lame ma, quando lui
colpiva, colpiva con la forza e la precisione di un uragano. I birmani, compresa
la possibilità concreta di uccidere il Re Thai in persona, accorsero in massa.
Ora le figure armate davanti a lui gli sbarravano la strada con una fitta siepe
di acciaio. In pochi istanti i soldati gli sarebbero arrivati alle spalle. Il Re
venne ferito, per la disperazione, raddoppiò la veemenza dei suoi colpi, che si
abbattevano ora come quelli di un martello sull’incudine. Ogni volta che un
nemico balzava come un lupo contro di lui, con incredibile rapidità lo colpiva,
scaraventando la caricatura insanguinata di un uomo contro le gambe degli
assalitori; sembrava essere l’incarnazione stessa della morte. In un istante
fu al centro di un uragano di lance, di mazze, di spade che cercavano di
colpirlo. Ma lui si muoveva in un accecante turbinio di acciaio. Le lance lo
sfioravano, mentre le sue spade intonavano un canto di distruzione. Per
proteggerlo il Guerriero combattè implacabile come un pazzo impugnando le
doppie spade Dab Song Mue, aprendo un cerchio di morte attorno a se e al re, e
indietreggiando con freddezza fino a quando, perso l'equilibrio sotto i colpi
dei nemici più numerosi, per non cadere si appoggiò in ginocchio sopra una
delle spade, spezzandola. Oramai indifferente a tutto, desideroso solo di
dimostrare al suo re che la fiducia riposta in lui era giusta, combattè in
questo stato, ossia con una spada e mezza, facendosi largo in mezzo alla torva
dei nemici urlanti, lasciando dietro a se una sinistra messe di morti e feriti.
Dal nulla, dietro le spalle dei birmani giunse il suono di un aiuto insperato.
Si udì il suono di colpi letali. Luccicò il lampo dell’acciaio, nell’aria
si levò il grido di uomini colpiti mortalmente alle spalle. In un istante il
campo di battaglia si riempì di corpi che si contorcevano a terra
nell’agonia. I soldati di Re Tak Sin avevano compreso la gravità della
situazione in cui era il loro signore e la sua Guardia del corpo, e si erano
affrettati per soccorrerlo; sanguinante e contuso Phraia Piciai sempre
combattendo con la muta ferocia del leone ferito, uscì dal campo di battaglia,
portando in salvo il suo signore.
Nel 1773
la città cadde, mentre i pochi birmani superstiti si rifugiarono a Cheng Sen,
ultimo loro caposaldo.
Ricostituita e rinnovata di uomini, l'altra armata birmana nel frattempo aveva
riattraversato a sud il confine e dilagava in Thailandia occupando Kan Buri, Rat
Buri, Phet Buri, Samut Songkhram, Nakhon Pathom e Supan Buri. Il suo nuovo
comandante era Nemio Thihabodì, un vecchio soldato consumato nell'arte
militare, era stato l'artefice della caduta di Ayutthia e vincitore delle armate
Cinesi. Era di conseguenza un nemico formidabile e il pericolo numero uno per
qualsiasi nazione, anche non stremata e logorata dalle continue battaglie come
quella Thailandese. Il compito per Re Tak Sin era dunque dei più ardui e
rischiosi, ma essi erano sempre animati da un indomabile slancio giovanile e da
una incrollabile certezza nella vittoria finale.
Decisero
di attaccare con tre armate, comandate rispettivamente dallo stesso re, e
le altre due, dai due fratelli. Il generale birmano cambiò allora tattica e
spostò il fronte più a nord, sperando di trovare la collaborazione di molte
città Thai che erano state a lungo sotto il dominio birmano. Nei dintorni di
Phitsanulok, avvenne la madre di tutte le battaglie, la più spettacolare e la
più geniale. Sconfitto,il generale Nemio Thimabodì prima di ritirarsi chiese
in una tregua di potersi incontrare con il giovane generale Chao Phaia Chakri (Thong
Duan), per congratularsi del valoroso ardimento dimostrato in tutte le battaglie
contro i birmani, dicendo testualmente che " nessun generale così giovane
aveva potuto resistergli tanto, e che, se un giorno la Birmania deciderà di
battere la Thailandia, dovrà disporre di un comandante superiore a lui".
Concluse il suo elogio, dicendo che "la sua testa meritava la corona di
re".
Con la
ritirata di tutte le truppe birmane, la Thailandia otteneva finalmente la
definitiva e totale liberazione dal giogo straniero. Nel 1778 la Thailandia
conquistò e sottomise, come stato vassallo anche il Laos.
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