Due istruttori discutono e si interrogano
nel tentativo di trovare in sé le risposte ai tanti quesiti che nascono in
loro… forse nelle domande sono contenute già le risposte?
La valenza del tradizionale
Testo a due mani
di: Black & White
Questa volta vorremmo fare alcune riflessioni su quello che nel
corso di kung fu definiamo il “tradizionale”. Si tratta di un termine al
quale ognuno può dare - e solitamente dà – vari significati, persino
contraddittori o contrari alla sua comune accezione. Questo preconcetto, forse,
è “da troppi” assunto inconsciamente come fosse un “assioma”,
pertanto ognuno ne discute, intimamente convinto che il significato attribuito
ad esso sia lo stesso per tutti i suoi interlocutori, ma non è detto sia così!
C’è, infatti, chi gli dà una connotazione negativa (tecniche obsolete ed
ormai sorpassate ) e chi una positiva (la vera tecnica originale e
pura del Kung Fu… la migliore!) Ma, se esiste un termine come questo che,
evidentemente, serve a distinguere un certo tipo di Kung Fu (o qualsiasi altra
arte marziale) da un altro… quale e’ l’altro? Potremmo definirlo, forse,
come il suo contrario e quindi… il “moderno”? Anche su questo termine
occorrerebbe tentare di avere maggiore chiarezza per poterne parlare o,
quantomeno, trovarci d’accordo sul “ significato” che vogliamo o possiamo
attribuirgli, prima di poterne discutere e, ancor prima, dovendoci almeno
comprendere! Anche a questo altro termine (il moderno) vengono solitamente
dati significati di fondo diversi, a volte contraddittori e persino addirittura
antitetici. Al termine “moderno”, forse, siamo solitamente abituati ad
assegnare connotazioni positive (il Kung Fu scevro da tutti i fronzoli accessori
ed inefficaci… che tiene conto delle mutate condizioni comportamentali
societarie) o negative (una blasfema invenzione non necessaria e inopportuna di
un qualsiasi maestro magari in vena di notorieta’ e protagonismo)
Ma
torniamo a quello che è l’oggetto della nostra discussione: il tradizionale,
inteso come qualcosa che viene dal passato… tramandatoci empiricamente per
mezzo della continua ripetizione pratica, consentendo lo studio e la
conservazione della tradizione.
Possiamo
dire che la conservazione della tradizione e’ importante e basilare per
conoscere le radici dell’Arte, per aver modo e parametri tali da poter tentare
di immaginare, attraverso la sua analisi, quali fossero le filosofie ed i
concetti di partenza che hanno portato non solo alla sua nascita, ma anche al
suo sviluppo. Lo sviluppo e’
infatti servito a migliorarla e renderla maggiormente esaustiva per il momento
cronologico ed i mutanti bisogni dell’epoca storica specifica.
Frequentemente,
nella pratica del kung fu, studiamo movimenti ideati molto tempo fa da
personaggi che sovente la leggenda associa ad accadimenti e nomi prestigiosi,
oltre che ammantati di mistero. Questi movimenti vengono ripetuti (o almeno
dovrebbero…) esattamente come dovevano essere all’epoca in cui furono
codificati.
C’è, quindi, chi afferma che, essendo mutate le condizioni ed i
bisogni dell’uomo, non serva ripetere quelle sequenze di movimento che
corrispondono a diverse condizioni ambientali e bisogni ormai anacronistici…
e chi, preconcettualmente convinto dell’inferiorità filosofica contemporanea
specie occidentale, si trasforma, suo malgrado, in un nostalgico
degli originali ed alternativi metodi orientali.
In
particolare le forme (Tao Lu), tipiche sequenze di tecniche che si intrecciano
in un immaginario combattimento, sembra esaltino quelli che pare dovessero
essere i movimenti e le tecniche utilizzate all’epoca nel combattimento… ma
siamo sicuri fosse proprio cosi’?
Secondo
un’analisi razionale, a bisogni diversi dovrebbero corrispondere schemi e
movimenti diversi. Ma anche in quel tempo, forse molto più di
adesso, il bisogno principe dello scontro reale era quello di uscirne, oltre che
vincitori… soprattutto vivi! Pertanto, sicuramente non potevano andare tanto
per il sottile! Invece, nel codificare un Tao Lu che tramandasse lo stile
e le peculiarità del metodo ai posteri, l’intento prevalente, con ogni
probabilità, potrebbe essere stato quello di rimarcare ed accentuare proprio
le particolarità di quel metodo o stile, forse anche esagerandole, al
fine di evidenziarne maggiormente i caratteri salienti e permetterne così una
migliore comprensione.
Nello
studio delle forme, spesso, molti praticanti di arti marziali rilevano che la
maggior parte dei movimenti assomigliano frequentemente ad una danza, sembrando
così non essere attinenti ad una realtà quale quella del combattimento in cui
il guerriero deve vincere per poter sopravvivere.
E se
fosse stato fatto proprio per questo? Sappiamo che nella cultura
filosofica orientale non c’era posto per tutte quelle classificazioni e
categorizzazioni che siamo abituati ad utilizzare noi occidentali
per il nostro comodo metodo di apprendimento e che tutti gli aspetti della
vita, forse, erano rappresentati e contenuti nell’Arte, sia nel suo aspetto
filosofico, sia nella sua pratica. Personalmente, sarei più propenso a
credere che forse fosse stato fatto non solo per questo ma “anche” per
questo!
In alcuni stili particolari viene esaltata anche la destrezza,
cioè movimenti che richiedono anche doti e qualità fisiche notevoli.
E se
fossero state inserite e comprese nel Kung Fu proprio per “ottenere”
questo? Non credo, infatti, fossero “avvezzi” a distinguere, separare la
preparazione fisica dal lavoro tecnico come, invece, dobbiamo spesso fare noi,
per mostrare o evidenziare una certa “pianificazione” del corso,
oggetto di una attenta valutazione da parte dei potenziali nuovi studenti
formati con schemi mentali che ricalcano proprio tutte queste classificazioni e
separazioni.
Ed
ecco le prime difficoltà che istintivamente l’allievo mette in evidenza…
ma, soprattutto, cerca delle attenuanti, dei motivi razionali, forse, che lo
portino a ritenere superfluo l’impegnarsi in esercizi da lui reputati
apparentemente, oltremodo difficoltosi e che non gli sembrano avere
attinenza diretta con il reale combattimento.
In
questo caso, forse allora l’alliev, non viene per studiare il Kung Fu… ma
solo per studiare il combattimento. Magari chiedendosi se non siano forse la
stessa cosa? O forse no? Ma allora forse sapeva già… o credeva di sapere già,
che cosa fosse il Kung Fu… Ma, se conosceva già il Kung Fu, perché venire ad
impararlo qua? Forse aveva un’idea di che cosa dovesse essere… un corso di
Kung Fu! Ma, non avendolo mai praticato, come avrebbe potuto averla, se non per
un puro pre-concetto formatosi in virtù dei continui messaggi arrivati a
noi dalla (forse troppa) abbondante pseudo-informazione che quotidianamente ci
investe in tutti i campi dello scibile umano.
Perché
studiare qualcosa che gli appare lontano da quello che è il combattimento
(comunemente inteso)? Perché dover diventare veri e propri atleti per poter
praticare il kung fu, per poter apprendere il kung fu?
Forse
allora il Kung Fu non è solo un metodo di combattimento umano… o meglio:
forse non solo come lo intendiamo comunemente. Si dice, solitamente e molto
piacevolmente, che il primo avversario contro cui dobbiamo combattere ed
imparare a vincere siamo noi stessi. Forse è proprio questa la prima grande
battaglia che dobbiamo combattere e vincere, per poter proseguire e poter
sperare, quindi, di apprendere come essere sempre e comunque
“ vincenti” come vorremmo?
In
effetti, quando vengono introdotte tecniche più vicine a quello che è il
combattimento (comunemente inteso), la differenza di accettazione, comprensione
ed entusiasmo, si fa molto più evidente!
Forse
perché ritrovano, o credono di ritrovare, quello che stavano cercando…il
metodo di combattimento tra umani. Sicuramente il Kung Fu è anche questo, ma,
forse, prima di poter giungere a questo punto apparentemente più gratificante,
occorrono gli indispensabili pre-requisiti di cui abbiamo
precedentemente accennato.
Ma
questo è solo quello che l’allievo vede o crede di vedere, o, piu’
comunemente che sa vedere. Ma è anche tipico nell’atteggiamento mentale
dell’allievo che è ancora molto superficiale e si sofferma a guardare, anziché
osservare, o cercare di sentire.
Credo che, forse, per quanto riguarda la differenza tra il
“guardare, il vedere e l’osservare” … i più attenti avranno compreso la
diversa portata ed il significato … ma, per quanto riguarda invece “ il
sentire”, che ci sia bisogno di una maggiore e ancora più attenta
osservazione… soprattutto “interiore”… naturalmente.
La
mente è ancora legata a condizionamenti e meccanicismi pragmatici, di corto
raggio, tali che non riesce a scendere in profondità ed a vedere quello che sta
facendo, o meglio a sentire… quello che sta facendo.
Già…
il pragmatismo… forse abbiamo bisogno di ottimizzare e quantizzare il
lavoro con il risultato tangibile e dimostrabile esternamente, utilizzabile
facilmente a proprio vantaggio e soprattutto comprensibile agli altri, per
colmare il nostro bisogno di consenso altrui?
Forse
l’insegnante potrebbe, invece, conoscere e sapere quello che è il lavoro da
compiere, il percorso per l’apprendimento di schemi motori e la costruzione di
automatismi coordinativi per quello che è… il kung fu.
Forse
l’insegnante, con tutta la sua esperienza, è la persona più indicata a
comprendere e conoscere i giusti tempi e modi dell’apprendimento in un
gruppo eterogeneo come quello che, solitamente, compone le classi nelle lezioni
di Kung Fu. Nessuno oserebbe certo negarlo, ma forse, solo fin quando i suoi
modi e i suoi tempi… collimano con gli intendimenti e convinzioni degli
allievi! Desidererei sinceramente sbagliarmi, ma temo, purtroppo, di aver
ragione e non vorrei!
Possiamo
dire, anzi, che l’insegnante illustra il cammino: è poi l’allievo che è
naturalmente libero di volerlo percorrere… ma l’insegnante può illustrare
solo la strada.
Come
concetto di base potrebbe, anzi, sicuramente sarebbe accettato da tutti… ma
non potrebbe apparire, forse, come un modo per non occuparsi troppo degli
allievi o non perdere eccessivo tempo dietro a loro, nell’insegnamento
meticoloso di tutte le sue peculiarità e varie sfaccettature…? Già,
ma, forse è proprio questo che solitamente non viene accettato: una visione
“globale” e non specifica, della sua pratica.
Sta
poi all’allievo avere la volontà e l’intenzione di percorrerla, quella
strada. Ma questa solo apparente libertà è spesso, invece, condizionata dal
voler misurare immediatamente dei risultati a lui tangibili, risultati che sono,
probabilmente, condizionati da una visione limitata della propria realtà
quotidiana.
Ancora
una volta, quindi, torniamo a tener presente come concetto principe non tanto il
Kung Fu, quanto, invece, il pragmatico bisogno di soddisfare i propri
apparenti e personali bisogni utilitaristici che crediamo di voler colmare e per
i quali siamo giunti, probabilmente, a frequentare il corso.
L’esistenza nel programma del lavoro cosiddetto
“tradizionale” ha una sua valenza che, forse, va al di là del movimento
esteriore che, invece, possiamo facilmente vedere e comunemente comprendere.
Evidentemente,
forse, trova la sua valenza nel darci schemi e mappe motorie solo apparentemente
inefficaci ed inapplicabili facilmente nel combattimento reale, ma che
potrebbero rappresentare, forse, proprio quei pre-requisiti fondamentali per
poter proseguire nello studio di tecniche e movimenti di più rapida e semplice
applicazione nelle evenienze quotidiane.
Se
il tradizionale sembra non essere il combattimento, perché sforzarsi di
ricordare schemi di tecniche e movimenti concatenati, apparentemente così
astrusi e difficili?
Forse,
il ricordarli potrebbe non essere così importante in assoluto… ma potrebbe
servire solo per ripeterli e costruire così automatismi reattivi generali, sui
quali poi costruire quelli più specifici.
Come
dire che, per poter correre, dobbiamo saper camminare. E’ ovvio, vero?
Ma, evidentemente, non altrettanto per lo studio del kung fu… a quanto pare.
Forse
è solo l’eccessiva voglia di apprendere il più presto possibile la quantità
maggiore di schemi e tecniche a loro utili… che fa loro dimenticare di curare
anche la qualità di ciò che fanno.
Abbiamo
già visto in altri interventi come il kung fu sia anche la via della conoscenza
di se stessi, come questa conoscenza (ciò che siamo) venga evidenziata in
quelli che sono i nostri movimenti.
Chissà…
forse è proprio questa apparentemente non necessaria conoscenza di se stessi a
generare le insoddisfazioni di cui abbiamo parlato.
Potersi muovere in armonia, in maniera naturale, richiede
addestramento, vero? E’ quello che tutti pensiamo: addestramento e disciplina.
Siamo
sicuri sia così? Dipende da cosa intendiamo per addestramento e disciplina…
Mmmh… ancora una volta ci accorgiamo che prima di parlare di un qualsiasi
argomento… dovremmo prima metterci d’accordo su che cosa si intende per
qualsiasi termine che intendiamo usare nella sua trattazione. Forse siamo
troppo sicuri di conoscerne tutte le sue varie sfaccettature e significati
potenziali. Beh.. se è così per qualsiasi termine di uso comune, figuriamoci
per quanto riguarda l’onnicomprensivo Kung Fu. Come potremmo comprendere
che cosa esso sia veramente, prima di aver scandagliato esaustivamente tutte le
sue inesaustive sfaccettature esistenti?
|