Il sacrificio
Testo a "due mani" di Black & White
Nella
storia di molti popoli ci sono numerosi esempi di monaci, sacerdoti, preti, che
erano anche guerrieri, così come di guerrieri entrati a far parte di un ordine
religioso…
Ma
cosa accomuna la religione e il mestiere delle armi?
…quando ero piccolo, mi
dicevano che i monaci o i religiosi in genere… dovessero usare le armi per
potersi difendere dai malintenzionati… ma avendomi precedentemente detto che i
religiosi non possedevano niente… mi sono sempre chiesto che cosa avessero
dovuto pretendere da loro, questi cosiddetti “malintenzionati”… poi forse
ho compreso che anche le religioni credo comportassero anche una certa forma di
“potere”… allora penso di aver compreso che cosa avessero potuto volere
quei “malintenzionati”… o quantomeno che cosa avessero dovuto difendere i
religiosi.
…
non solo, forse, anche paura…
Così
queste due esperienze sembrano possano avere caratteristiche profondamente
diverse, ma penso che in realtà siano, forse, la stessa… realtà! Pensiamo ad
esempio alla fede di entrambi… (ma dobbiamo prima comprendere cosa intendiamo
per fede….), oppure allo… spirito di sacrificio!
Personalmente per “fede”,
intendo credere “ciecamente” in qualcosa… senza avere la certezza che sia
così… e la certezza stà proprio appunto… nella nostra fede. Una fede tale
che acquista ancora maggiore valenza o prende maggior consistenza nel momento in
cui qualcuno vi sacrifica un qualcosa a lui caro… e più caro gli è… tanta
più fede dimostra… o no?
Penso
che la fede non abbia bisogno di essere provata, essa è! Dal momento che ne
vogliamo dare una prova in realtà stiamo solo cercando di eliminare il dubbio
che non possa essere. Ma dal momento che ne dubitiamo, non è più fede, ma
semplicemente un voler credere, spesso solo a ciò che ci piace pensare che sia!
Ma ritengo che la tua definizione sia quella più comunemente usata e adotta da
molti.
Dobbiamo
ricordare che le arti marziali orientali hanno radici anche nelle correnti
filosofiche quali, ad esempio, le filosofie buddiste, taoiste...
In
tempi remoti, filosofia e religione viaggiavano a braccetto, avendo in comune
l'osservazione della natura umana, nell'intento di ricercare l'armonia fra gli
aspetti interiori e quelli esteriori dell'uomo.
Anche nella nostra cultura,
la religione è nata per darci delle risposte a quesiti umani irrisolti e
irrisolvibili… Ed anche da noi credo che questa sia nata anche e soprattutto
dall’osservazione della “inquieta” natura umana e per cercare di colmare
quella sottile frattura tra gli uomini e la loro spiritualità.
Certo l’uomo e la sua “inquieta”
natura umana sono, forse, sempre esistiti. Così, per quanto possa sembrare
assurdo, penso che la ricerca dell’armonia tra interiore ed esteriore sia
comune a tutti gli uomini. Se non altro per il fatto che percepiamo di non…
Essere! Per quella continua inquietudine che si affaccia dentro ognuno e che è,
credo, il motore della nostra ricerca. Ammesso che riusciamo ad accenderlo…
per non parlare, poi, di come guidarlo….
Credo di capire a cosa ti
riferisci… quando ci penso però non mi sento bene… l’angoscia dello
sconosciuto e la mancanza di una risposta sicura ed esaustivamente razionale,
credo che non mi permetta di vivere il presente. E’ come se una miriade di
complicati pensieri mi tirasse verso l’alto e all’esterno… fino a
disperdermi nell’ambiente… mi pare di sentire.
E’ questa, forse, la paura?,
Ciò che cerchiamo e che invece fuggiamo continuamente? Quanto poi questo
processo di ricerca, di osservazione, si sia snaturato, portando le religioni
tutte ad essere, almeno a mio avviso, un rifugio, un'ancora, un vano tentativo
di risposta ai perenni quesiti umani, è cosa nota.
Si dice infatti che la
politica è sia la paura dei vivi… come la religione sia la paura dei…
morti.
Allora sempre di questo si
tratta. La paura ha, forse, creato i riti, le superstizioni, l’osservazione e
la correlazione dei fenomeni naturali in relazione a ciò che ci accade…
diventando, l’interpretazione dell’osservazione, da soggettiva ad oggettiva,
perciò tale da dover essere codificata in riti più o meno propiziatori.
Credo questo sia l’esempio
del ragionamento induttivo, che tende ad indurre e relazionare il fenomeno…
alla causa a cui pensiamo sinceramente “debba“ essere motivo del suo
avvenimento.
Questo approccio, infatti, ci fa
vedere all’esterno le cause di ciò che sentiamo dentro, spesso individuate
nella sofferenza!.
La psicologia ci dice che
istintivamente siamo sempre portati a ricercare all’esterno le cause dei
nostri avvenimenti interni. Nel caso di nostra sofferenza poi, forse con
ragionamenti induttivi… ne ricerchiamo all’esterno addirittura le
colpe.
Ma della sofferenza ne potremo,
forse, fare un'altra discussione…. Che ne dici?
Si… credo che un argomento
alla volta sia più che sufficiente per me.
Si
certo, lo è anche per me.
Viene
però da pensare come tutte le forme di religione abbiano una matrice comune: un
senso di "sacralità" dell'uomo stesso che è stato sempre
percepito....
Credo sia dovuta alla visione “ umanistica” (con l’uomo
al centro dell’universo) in cui si percepiva che tutto lo “scibile”
esistente, ruotasse attorno all’uomo.
Infatti, se la Vita è sacra,
per il fatto stesso che viviamo, siamo sacri. Ma qui dovremmo forse chiarirci le
idee su cosa sia la Vita… vero?
Credo che la sua visone di
sacralità derivi in parte anche dal fatto che non se ne possa padroneggiare
umanamente l’inizio e la fine… oltre l’umano… quindi sacro! Credo
inoltre che la Vita
sia l’energia che determina una continua mutazione e ad un punto prestabilito
l’inizio della nostra umana esistenza, così come ad un certo punto, la sua
trasformazione. Non ritengo quindi, sia solo l’intervallo di tempo che
intercorre tra la nascita e la morte di un dato individuo, ne specie.
Possiamo
dire che la Vita è… oltre quello che possono essere le nostre conoscenze
razionali, soprattutto nei modi cui siamo abituati a pensare che debba essere.
Ma per comprendere questo la nostra mente deve poter vedere oltre l’apparenza
delle manifestazioni della Vita.
Restando
all’umanamente “scibile”, è curioso come il termine sacrificio sia poi
stato gradatamente "rovesciato"...
Allora,
quando parliamo di "spirito di sacrificio" che cosa intendiamo, in
realtà?
Forse che sacrifichiamo
appunto un qualcosa di piacevole per un qualcos’altro di maggiore e più alto
valore?
Quindi
rinunciare a qualcosa. Qualcosa che avremmo voluto ma che dovendo scegliere
abbiamo preferito non avere, pur continuando a desiderare di averlo. Il fatto
che ciò che scegliamo abbia un più alto valore ci da la forza per poter
sopportare il fatto di rinunciare a qualcosa che comunque vorremmo poter avere,
fare…
Il
termine sacrificio ci fa pensare ad un qualcosa con connotazione negativa, vero?
Molti direbbero il contrario…
cioè che il sacrificio è possibile solo da alti intenti umani, altrimenti che
sacrificio sarebbe?
Si,
questa è la motivazione per cui accettiamo la rinuncia, la privazione di un
qualcosa che vorremmo.
Tutte
le volte che usiamo la parola sacrificio la intendiamo quasi come un sinonimo di
rinuncia relativamente ad un agire (o non agire) in termini di sofferenza o,
quanto meno, di privazione.
Oltretutto,
per giustificare questa privazione che ci procuriamo (in effetti, non si vede
perché dovremmo infliggerci una tale punizione!!), ci diciamo che lo facciamo
per un fine, un ideale, ovviamente positivo!
Già,
un fine sacro. Ma, penso, solo perché qualcuno ha cominciato a dire che certe
cose sono sacre, quindi positive, mentre altre non sono sacre, quindi negative.
Fare un sacrificio presuppone, quindi, di dover fare certe cose e non farne
altre… quindi la Vita…. Sono solo quelle positive, vero?
Credo che anche a questo
punto, dovremmo chiarire forse che cosa intendiamo con connotazione negativa o
positiva… non per tutti è la stessa forse, e sicuramente per molti potrebbe
essere contraria. Ma diciamo pure che soggettivamente intendiamo con positivo il
bene… e con negativo il male che per ognuno di noi può assumere forme
diverse.
Si, è come dici, ma il concetto
rimane, credo, sempre quello. E’ ben vero che il sacrificio, già in tempi
molto remoti, veniva inteso come privazione per uno scopo che, in genere, era
quello di propiziarsi il favore degli dei...
Ma se lo si otteneva o si
pensava di poterlo ottenere… se ne traevano un vantaggio maggiore o ritenuto
tale… che sacrificio era?
Forse,
il fatto di pensare che se non lo si fosse fatto non avremmo potuto ottenere
quel… vantaggio. Nonché la sensazione di aver comunque perso qualcosa che
avremmo in ogni caso voluto.
Ma
è proprio questo su cui volevo riflettere perché la sacralità in sé non
credo sia un fare, un agire: … bensì, forse, è un'essenza.
Già…!
La
traduzione in azione di tale essenza può essere un reagire oppure un agire.
Personalmente, ritengo che offrire vittime o doni agli dei sia stata una
traduzione pratica già influenzata dal profondo senso di inquietudine
dell'uomo.
Tali
pratiche, a mio parere, erano già condizionate dal senso di paura, dal
tentativo di contrastare quello che l'uomo sentiva come un destino ineluttabile
e spaventoso: la prospettiva della morte.
Questo credo sia proprio il
nocciolo della questione e che divida o meglio, che determini, le diverse e
varie visioni filosofiche orientali ed occidentali, di accettazione o rifiuto
della morte, fino alla nostra quotidiana illusoria, quanto inconscia, sensazione
di immortalità che ci spinge all’azione continuamente basata sul futuro.
E' un po’ come cercare di
comprendere la differenza tra religiosità e religione: il senso del sacrificio
inteso come privazione credo attenga alla seconda, ma il senso del sacro attiene
alla prima.
Penso che molti avrebbero da
ridire… ma personalmente credo di aver capito quello che vuoi dire e sono d’accordo.
La percezione di un senso di
divino in noi, che non ha niente a che fare con la presunzione - figlia del
paragone e dunque della paura - bensì con la sola percezione del sé, è stata
oggetto di molti studi filosofici, delle riflessioni sull'apparente dicotomia
fra uomo e dio....ma i filosofi sono uomini... come tutti noi....che cercano di
comprendere e, comprendendo, placare quella famosa inquietudine...
Certo, forse… anche i loro
ragionamenti potrebbero essere indotti dalla necessità di darsi delle risposte
a quesiti irrisolvibili e quindi affrettati e facilitati dalle convinzioni
dogmatiche in cui si erano praticamente formati.
Al
riguardo avevamo già osservato in precedenti discussioni che gli ideali, scopi,
valori nobili sono spesso frutto di una valutazione figlia di un
pre-giudizio.....
Se
non ci fossero cosa faremmo? Cosa saremmo?
Si, mi ricordo… bella
discussione! Ma credo emerse che i pregiudizi ci sono congeniali e inevitabili,
apparentemente facilitanti e non dannosi… ma solo per coloro i quali sono
capaci di riconoscere la possibilità di averli e quindi poterli ri-conoscere ed
evitare di agire in loro assoggettamento. Se non ci fossero… sicuramente
faremmo forse cose diverse da quelle che facciamo e sicuramente saremmo diversi
da come siamo!
Ma,
anche a prescindere da ciò, basta ricordare che il termine sacrificio, di
origine latina, è una parola composta che può essere tradotta in "fare
un' azione sacra"....
Penso
che esistevano vari tipi di sacrifici…. Può darsi che non c’entri niente il
fatto di compiere comunque un gesto e dare a questo gesto una connotazione
sacra, cioè qualcosa che abbia a che vedere con il divino.
Penso
che un gesto sacro fosse qualcosa che non tutti potevano fare, ma solo chi,
diciamo, aveva una certa “visione” della vita. Da qui, poi, naturalmente le
cose possono (... e temo che lo siano…) essersi modificate, in quanto molte
delle persone che compivano quei gesti non avevano poi molto di sacro quanto,
forse, di potere.
Non a caso credo quindi…
all’inizio mi era venuta quella assonanza tra religione e potere. Certo
abbiamo potuto vedere nel corso della storia come la bramosia di potere sia
andata spesso a braccetto con il potere religioso e viceversa. E del resto credo
che, oltre a tante altre belle cose, ogni religione non fa che unire sotto una
stessa ideologia di giustizia e quindi filosofica, culturale, morale e quindi
con un certo assetto sociale, uno svariato numero di persone che varia da alcune
migliaia a svariati centinaia di milioni di queste.
Quindi la rinuncia sembra dia
forza al potere… Credo che solo chi non comprendesse la sacralità del gesto
vi potesse vedere una rinuncia, ma non chi ne comprendeva l’intima unione con
ciò che pensava fosse il proprio Essere… il Divino.
Questo processo è poi arrivato
ai giorni nostri per cui il termine sacrificio ha assunto una connotazione
negativa… dover rinunciare a qualcosa per un bene superiore.
Per cui, a mio parere, c'è un
equivoco di fondo, non ti pare?
Ma più che assumere una
connotazione negativa… (fatta eccezione ben inteso, per quel qualcosa che si
sacrifica ed a cui si rinuncia volontariamente) credo che il termine sacrificio
sia usato e persino abusato, molto più spesso ed in maniera approssimativa e
superficiale, per avvalorare oltremodo e quantificarla in una certa maniera, una
cosa che abbiamo ottenuto con quel sacrificio.
… una cosa ottenuta, quindi,
rinunciando a qualcosa a cui ognuno ne ha dato un valore inferiore rispetto a
quello che può portare l’azione che abbiamo deciso di fare… ma più il suo
valore è vicino a quello che abbiamo ottenuto e più ciò che si è ottenuto è…
prezioso. Ma se fosse solo un equivoco… ma temo ce ne sia più di uno. Questo
è uno dei tanti… Sono certo che di tanti altri ne ignoriamo l’esistenza,
pur continuando a pensare che non lo siano.
Sicuramente, ma come diciamo
spesso, sono le domande che contengono le risposte.
Forse è solo un mio pensiero,
ma sembra che, allora, il fare qualcosa con spirito di sacrificio dovrebbe
essere proprio l'opposto di ciò che siamo soliti intendere!
Cioè… se sacrifichiamo una
cosa per poterne ottenere un’altra… è solo perché ci conviene. Potrebbe
essere!
E
questo è l’uso comune… il paragone con qualcosa. Ma se smettiamo di
paragonare, cosa diventa il sacrificio? Forse… il gesto stesso….
In
ogni caso, anche a prescindere da un tale turbinio di pensieri e
considerazioni...non potremmo forse semplicemente dire che… ciò che facciamo
ci piace farlo? Se stiamo a dieta, se ci alleniamo con costanza, se non facciamo
magari altre cose pur di andare in palestra...non è perché ci piace farlo? Che
traiamo piacere da ciò che stiamo facendo? Non stiamo rinunciando a qualcosa,
non ci stiamo sacrificando, altrimenti non lo faremmo...non è forse così?
Così impostato il problema…
sembrerebbe addirittura non esistere infatti.
E non perché c'è un fine
ultimo che giustifica il nostro agire: è il nostro agire stesso che è
"sacro", perché e in quanto attiene a noi stessi, a tutto ciò che ha
a che fare con la nostra vera natura e che possiamo ben tradurre in un… fare
piacevole.
Sacrificheremmo dunque tutto
quello che ci piace meno per quello che ci piace fare di più…
E’ comunque il fare piacevole,
il trarre piacere da ciò che facciamo che sembra farci agire e determinare le..
scelte. O forse ciò che facciamo è semplicemente sacro?
Purtroppo, qualcuno ci ha già
detto cosa debba essere piacevole e cosa non debba esserlo. Ma come mai spesso
non ci ritroviamo in questo? Come mai a volte (o spesso?) quello che ci hanno
detto non è quello che sentiamo sia per noi piacevole?
Forse perché ci hanno detto
che dovremmo essere… come sappiamo di non essere. Forse perché sappiamo di
non essere come sappiamo che gli altri si aspettano che siamo. Mi sembra la
dualità tra moralità comune e moralità individuale… dove ognuno per paura
di mostrare la propria personale, ostenta quella pubblica ben sapendo di
riscuotere pieni consensi, forse proprio per lo stesso ragionamento fatto da
ognuno degli altri. Forse perché ci riteniamo intimamente indegni del
piacevole.
…
perché, forse, inconsciamente pensiamo che il piacere di per se non sia poi
tutto quel bene che sembrerebbe dover essere.
Comunque
sia penso che la Vita
stessa è! Pensiamo che nella vita ci siano cose positive e cose negative?
Perché? Forse dipende, vero? Come tutti gli opposti, per poter esistere c’è
bisogno del proprio contrario… cosa sono gli opposti se non termini relativi?
Tutto chiaro? E se sono relativi non possono essere assoluti. Anche questo è
chiaro? Be’ la Vita
cos’è? Un termine relativo o assoluto?… non sempre è quello che sembra!
Possiamo
vedere come siamo condizionati da forti pregiudizi e come spesso non siamo
consapevoli di quello che diciamo! Forse neanche adesso lo sono…
Chi mai potrebbe dirlo con
sicurezza… ma comunque credo ci faccia onore provarci.
Penso,
allora, che sacrificare la propria vita in un combattimento, anche inteso come
metafora della vita stessa, non dovrebbe, credo, significare rischiare la vita:
nel concetto di rischio c'è lo spettro della paura della morte....
Forse
il guerriero ha un altro concetto della vita che trascende il proprio io, per
sentire che anche lui è… Vita! Si, certo, dipende da cosa vogliamo intendere
per vita e Vita!
Possiamo
rischiare solo pensando di poter perdere qualcosa. Ma cosa perdiamo? La Vita? Forse….
Ma
non credo che il guerriero rischi, in realtà......rischia chi (la persona) ha
paura di perdere qualcosa che ritiene di possedere. Possiamo davvero dire di
possedere la nostra stessa Vita? E allora cosa?
Sicuramente rischiamo quello
che siamo disposti a perdere e che pensiamo di possedere, altrimenti non lo
rischieremmo penso.
Si,
certo, rischiamo sempre in base ad un confronto, tra ciò che potremmo perdere e
ciò che potremmo prendere…
Però,
può darsi che, sacrificare la propria vita, potrebbe significare rendere ogni
giorno la propria Vita sacra....e forse è proprio così che non si avrebbe più
bisogno di combattere... consapevoli di quello che facciamo, non di cosa
facciamo, ma di… come!
Bella questa tua spiegazione
del “sacrificare” come quella adoperarsi con l’intento di rendere ed
elevare qualcosa a… “sacro”.
(Se
l’ho scritta è, forse, perché tu l’hai pensata). Ecco quindi che è l’azione
che distingue l’uomo comune dal guerriero. L’uomo reagisce, il guerriero
agisce. Il gesto, l’azione del guerriero è un gesto “marziale”
distinguibile da un comune gesto di una persona. Il guerriero è, mentre la
persona pensa, crede, di dover essere!
Riusciamo
a vedere la differenza tra l’essere e il credere di dover essere?
Direi che dovrebbe essere
tipica dell’individuo che smette di essere come sa che gli altri vorrebbero
lui fosse e si mostra esattamente come sente interiormente e sinceramente di
essere. Mostra il suo vero “Essere” appunto!
E quindi la consapevolezza dell’azione
fa sì che ogni gesto del guerriero sia sacro, probabilmente proprio perché
distingue ciò che è relativo da ciò che è assoluto!
Forse… difficile, vero? Ma è
altrettanto ovvio se lo si comprende!
Non è certo un pensiero
facile. Una intuizione mi fa pensare a chi combattendo aggredisce per paura… a
chi aggredisce per volontà e consapevolezza del fine… ed a chi evitando di
esserne coinvolto oltremodo, si limita a non reagire ed osservare. Ma chi è
secondo te il vero guerriero?
Chi
dei tre è consapevole di ciò che è, e non di ciò che fa, in quel momento?….
Non
sono pensieri "facili" neanche per me, credimi, ma penso sia utile
parlarne, confrontarsi, magari perché ogni volta che impugniamo una spada o
infiliamo un guantone possiamo essere sempre un po’ più noi stessi.....
Sarebbe credo una ottima
medicina o soluzione di tanti angosciati dalla difficoltà della vita stessa.
E se, quindi, tornare ad essere
noi stessi fosse tornare alla Vita? All’assoluto! Pur continuando a vivere nel
relativo?
Una sorta di stanza
immaginaria e segreta dove viviamo con noi stessi.
Potrebbe
essere una metafora interessante.
Inoltre
ciò che distingue il guerriero dalle persone comuni è anche la naturalezza del
vivere l’assoluto, se stesso, comprendendo il relativo…
Forse
piacerebbe poterlo essere, ma come fare?
Se
questa fosse la domanda, temo che siamo ancora lontani.
Non credo esista una tecnica
precisa infatti, ma solo un concetto e per comprendere il quale è inutile
affannarsi forse.
Siamo ancora troppo condizionati
dal voler trovare un modello per poter fare… E come tu dici, non c’è una
regola, o regole, da seguire, ma, forse, solo comprendere gli schemi, le regole,
con le quali viviamo la nostra vita.
Sicuramente questo potrebbe
essere un primo passo.
Se
ci fossero schemi da seguire, regole da applicare, sarebbe solo la replica di
una ennesima religione o filosofia che si voglia, dove tutto è già impostato
per come deve essere la… vita.
Forse,
la Vita non ha regole, così come il combattimento vero, quello da strada!
Secondo
te, il guerriero combatte?
Continuamente, non potrebbe
farne a meno per Vivere!
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