Un occidentale Patriarca del ju-jitsu giapponese
Di: Ufficio Stampa Zen Club
Vogliamo cominciare questo fatto eccezionale con un bellissimo
video che documenta l’avvenimento.
Per la prima volta nella storia del Giappone un occidentale è a
capo di una scuola di arti marziali tradizionali. Si tratta
dell’italiano Maurizio Silvestri, già cintura nera ottavo dan con
una esperienza quarantennale di insegnamento in tutta Europa, negli
Stati Uniti ed Israele. Cultore di arti marziali da 41 anni ma anche
docente di storia e giornalista professionista con all’attivo
numerosi servizi all’estero ed in zona di guerra, Silvestri è stato
investito della carica di 19esimo patriarca dello Yamato Yoshin ryu
ju-jitsu, (stile che risale al diciassettesimo secolo) nel recente
Festival delle arti marziali che si è svolto a Kyoto.
La scuola segreta che vince la paura
La
scuola è del tutto sconosciuta al di fuori del Giappone in quanto,
nello stesso impero del Sol Levante solo pochissimi sono stati
ammessi alla pratica. Per secoli il motivo di tanta segretezza è
stato nel tipo di addestramento prettamente militare ed esoterico
che prevede percorsi di “illuminazione” non accessibili a tutti;
inoltre dal secondo dopoguerra lo Yamato è caduto sotto le pesanti
sanzioni imposte al Giappone dagli Stati Uniti: in quanto arte
marziale tradizionale era proibita. Tutto questo significa che gli
insegnamenti non sono stati “inquinati” da altri sistemi di
combattimento o difesa personale orientali o occidentali. E dunque
che si possono rivedere, nella loro originalità, le antiche tecniche
che contribuirono a creare quell’immagine di combattenti invincibili
che si associa ai Samurai. Conoscere lo Yamato significa effettuare
una ricerca filologica e storica di grande interesse per gli
appassionati di arti marziali. Del resto la scuola va ben oltre le
sue tecniche essenziali e micidiali. Mantenendo il sistema dei
livelli di Conoscenza (le cinture colorate ed i dan sono stati
introdotti nelle arti marziali dal fondatore del judo, Jigoro Kano),
lo scopo dello Yamato è la formazione di un Uomo che fondi la sua
vita su principi come la tolleranza, il rispetto e la fratellanza;
che sia immerso nella Natura e sia portatore di un messaggio di pace
universale. Tutti principi ben radicati anche nella nostra cultura e
che, in Giappone, si fondono con la spiritualità dello scintoismo e
del buddismo che sono poi alla base delle arti marziali. Come è
possibile ottenere tutto questo attraverso un’arte di guerra? E’
presto detto: lo studio permette di conoscere a fondo i propri
limiti e capacità, di fare i conti con quella parte “bestiale” che è
in noi, di indirizzare dunque nel giusto verso l’aggressività. Tutto
per vincere la paura, pulsione del tutto naturale, ed arrivare alla
sicurezza ed alla consapevolezza di poter sempre scegliere tra la
pace e la guerra, tra attaccare, fuggire o restare immobili di
fronte al pericolo, valutandolo nella sua esatta consistenza.
L’italiano “Omoyari”
E’
stato il maestro Saburo Minaki, 17esimo patriarca vissuto fino a
metà anni ottanta a tramandare, in clandestinità, le tecniche
ultracentenarie e la tradizione della scuola. L’eredità è stata
raccolta dal suo primo assistente, Kazuhiro Kitada, divenuto soke
(capo scuola) dello Yamato alla morte di Minaki. Kitada ha
perpetuato la tradizione della segretezza del metodo, preparando un
ridotto numero di maestri. Al momento di scegliere il suo successore
la rosa dei candidati si era ristretta a tre tecnici, due giapponesi
e Silvestri col quale aveva allacciato rapporti già nel 1981. Tre
anni fa il soke ha comunicato a Silvestri che aveva buone
possibilità per la successione. E’ iniziato così un percorso di
formazione molto complesso che ha richiesto al docente italiano
numerosi viaggi e lunghi periodi di permanenza in Giappone. Per
completare la preparazione tecnica ma soprattutto spirituale di
Silvestri lo stesso Kitada è venuto due volte in Italia dove ha
trascorso alcune settimane La scelta di Kitada non è avvenuta con
facilità per l’opposizione di molti maestri giapponesi che non
vedevano di buon occhio l’apertura ad un occidentale e, addirittura,
una sua eventuale investitura a capo dello Yamato. Del resto le
scuole di arti marziali ed in particolare quelle di ju-jitsu sono
sempre state molto chiuse in quanto espressione della tradizione e
praticate solo dalla aristocrazia dell’impero del Sol Levante. Alla
fine il soke ha deciso che Silvestri era un “Omoiyari”, un italiano
con il cuore giapponese, con tutte le doti tecniche e morali per
portare avanti la scuola.
Silvestri è stato dunque “incoronato” patriarca ed ha
assunto il nome di Yamato che gli è stato imposto, come vuole
la tradizione, dal soke uscente. Nel corso di una solenne cerimonia
ha avuto la licenza di menkyo kaiden (il riconoscimento del
più alto livello di conoscenza) quindi gli sono stati consegnati i
preziosi makimono, le pergamene che raccolgono i segreti e
l’esperienza maturata in più di 300 anni. Per la prima volta, su
quelle carte è stato scritto il nome di un occidentale. |