Le arti marziali e la nostra anima
Di: Andrea Cerretelli
Dal sito federale FESIK
Lo
spunto di questa mia, viene dalle considerazioni più elementari che
indussero moltissimo tempo fa i primi adepti ad occuparsi delle Arti
Marziali orientali, ed in particolare del Karate cosa a me più
vicina.
Come da innumerevoli documenti e testimonianze scritte e
tramandate nel tempo, i primi praticanti furono attratti e indotti
da chi aveva creato questa concatenazione di movimenti, che
successivamente fù chiamato in molteplici modi, ed a noi arrivato
come Karate. Per il semplice motivo di mantenere una forma fisica
accettabile, si riscontrò evidentemente che questa non solo poteva
essere tale, ma notevolmente migliorata ed in qualche occasione
portata a dei livelli inimmaginabili sotto il profilo della
prestazione fisica. Si sa, peraltro che questa ultima se
continuamente stimolata, come in qualsiasi altra attività
condizionale, porta a dei mutamenti caratteriali positivi, quali:
una maggiore capacità di reazione di fronte a sforzi fisici pesanti,
aumento della determinazione, spirito di decisione, reattività
immediata ect.
Successivamente sembra, sempre in virtù delle testimonianze
scritte , cambiò anche l’approccio a questa disciplina corporea
bypassando lo scopo di cui sopra per arrivare allo finalità delle
tecniche espresse. L’autodifesa!
In
seguito come sappiamo negli ultimi 60-70 anni fù di nuovo superato
il tutto, e orientato per ottima disciplina adatta ai Bambini, per
la buona coordinazione che sviluppa attraverso una gestualità quasi
sempre bilaterale, e fattore molto importante riesce ad evolversi
anche in fantastica attività sportiva- agonistica, modificando o
quasi, la matrice iniziale. Chi ha praticato negli anni 70,
nell’area riconducibile al karate -tradizionale, sa che in realtà
le tecniche venivano eseguite con stoica ferocia ma sempre ed
unicamente pensando alla competizione, compresa quella purtroppo più
dura che veniva svolta nelle allora palestre, con i propri compagni,
non si sentiva mai parlare di autodifesa, ma solo di strutture
mentali e fisiche che dovevano aiutare ad essere sempre più forti.
Con questo tedioso inizio non ho pensato di informare nessuno,
sulla storia del karate, non ho le qualità per farlo, voglio invece
fare riflettere sull’ultimo punto che mi interessa di più. Negli
ultimi tempi con il crescendo della violenza, ad opera in
particolare della microcrimanilità, sono nate innumerevoli sistemi
di lotte dove il principale scopo è l’autodifesa, non farò nessun
accenno polemico o critico verso questo approccio a queste nuove o
antiche attività, che non conosco, penso però che , parlando di
autodifesa, non siano le discipline in sè a fare la differenza ma
le persone.
Un affermazione fortemente critica, e in parte in
contraddizione con il mio essere.
Apparentemente
nei miei allenamenti, sembrerebbe anche molto importante l’aspetto
dell’autodifesa, a causa dell’enfasi che la mia personale attività
impone, ma in realtà la cosa è fatta, si per un addestramento ma
in particolare per dare scopo e comprensione alle tecniche.
Peraltro personalmente ho quasi del tutto abbandonato l’attività
agonistica e che come insegnamento la mia attività è volta a
recuperare la radice fondamentale di questa disciplina: il
benessere fisico e possibilmente spirituale unito ad una certa
ricercatezza tecnica che dovrebbe indurre ad un miglioramento se non
caratteriale almeno nel comportamento.
Non credo affatto che la mia attività, fatta unicamente per
eseguire mirabilanti tecniche, spesso senza comprenderne i
significati più intriseci vissuta, ancora peggio, superficialmente,
e ancor di più tante altre che vengono pubblicizzate negli ultimi
periodi, possono essere risolutive a scopi di difesa personale.
È la nostra anima, il nostro vissuto che ci porta ad essere
quello che siamo, ed in quella condizione richiesta in caso di
aggressione, freddi, reattivi, violenti e estremamente determinati,
pronti spesso a giocarsi la vita.
L’esempio è di questi giorni, un mio praticante che ha iniziato
praticamente con me, è cn 1 dan, ( ma il livello di competenza non è
importante ai fini della nostra storia) diciamo che è un
apparentemente tranquillo signore di 50 anni, in forma fisicamente
come tanti altri che ho con me, che si allena con passione, è da
sempre molto attratto dai Kata, con le relative applicazioni, Kion
e tutto quello che non rappresenta il lavoro rapido a coppie,
primo fra tutti il Kumite libero, sempre troppo rigido, con paura
di toccare ed essendo tale viene sempre messo “sotto” da qualcuno
che ha abilità di rilassamento maggiori.
Quindi
quasi nessuna preparazione per le dinamiche spazio -temporali, di
conseguenza nessuna o quasi apparente preparazione alle
caratteristiche tipiche delle attività di combattimento;cioè
capacità di reazione, utilizzo di dinamiche per assorbire i colpi
ect.
Diremmo di questo praticante che è un tranquillo pacioso signore
a cui piace l’essenza più esoterica dell’Arte .
Nulla di tutto questo, questa persona ha un passato,
perfettamente superato nell’apparenza delle cose ma pronto
evidentemente a saltare fuori all’occorrenza, di violenza, fatta
subita e vista fare, e pochi giorni fa in un ora tarda della notte
in una stazione ferroviaria ha subito un tentativo di aggressione
per futili motivi, sembra un pacchetto di sigarette che avrebbe
dovuto dare ai due, erano due estracomunitari, purtroppo i due sono
stati fortemente malmenati dal nostro senza ricevere nemmeno un
graffio, si parla di 30gg di ospedale cadauno, anche una bella
denuncia del nostro per eccesso di legittima difesa, forse legittima
o forse no, il giudizio è strettamente personale.
Non
c’è una vera morale in questa storia, anche perché il nostro ora
dovrà vedersela prima con gli enti preposti al giudizio sulla
vicenda e poi a se stesso, se non la constatazione da cui sono
partito; una persona è temibile e fortemente pericolosa per quello
che essa è, per la sua storia le sue esperienze. Non sono le
tecniche a fare la differenza ma le persone e le varie situazioni
momentanee, che possono creare risposte oggettive anche
significative.
Direi quindi di mettere pace a se stessi, con le modalità che
ognuno riesce a crearsi, praticando, magari, la propria disciplina
nuova o vecchia che sia, unicamente per stare bene con se stessi, o
meno male, senza ingannarsi pensando di essere dei super
conoscitori di tecniche magiche, praticando con passione e cuore,
dandosi senza riserve alla propria Arte o disciplina che si voglia,
e ricordando che la strada è personale.
Andrea Cerretelli
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