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Arti Marziali

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Il Potere del Respiro

Di: Flavio Daniele
Samurai marzo 2010

In tutte le “Vie” di ricerca spirituale il respiro riveste un ruolo centrale dal quale non si può prescindere pena l’insuccesso nel compimento dell’”Opera”. Lo Yoga indiano, per esempio, dedica al respiro interi trattati in cui sono descritte in maniera minuziosa le differenti tecniche respiratorie; anche nel Buddhismo e nel Taoismo il respiro è basilare per l’ascesi mistica, così come nelle differenti correnti dell’esoterismo Cristiano è condizione indispensabile per la comunione col Divino. E nelle moderne arti marziali che ruolo riveste? È ancora vivo il ricco patrimonio di tecniche respiratorie di cui ogni arte marziale disponeva per sviluppare le virtù/abilità marziali, o è stato sostituito da altri metodi? Purtroppo, la maggior parte è andata persa nel viaggio verso l’Occidente. I pochi “frammenti” arrivati fino a noi, similmente a quelli dei trattati dei filosofi dell’antica Grecia, non solo sono interpretati in maniera confusa e arbitraria, ma sono usati in maniera impropria.

Infatti, non è raro vedere praticanti marziali che provano a fare degli “innesti tecnici” presi a prestito, il più delle volte, dallo Yoga Indiano, per sopperire a questa perdita. I risultati, molto spesso, non proporzionali all’impegno profuso, creando frustrazione e sfiducia, fanno pensare che si tratti di metodiche, se non proprio inutili, quantomeno inadatte al moderno praticante. Buone, al massimo, come tecniche di rilassamento, ma del tutto inefficaci nel campo delle arti marziali.  Come dargli torto! Nessun maestro orientale, tra quelli arrivati in Italia fin dagli anni Sessanta, ha insegnato come usare il respiro, né come strumento di controllo dei propri stati mentali ed emotivi, né come forza propulsiva per aumentare la potenza del corpo. Al massimo qualche consiglio, buttato lì ogni tanto, sulla respirazione addominale. Così, chi nutriva interessi “oltre” il respiro come semplice capacità aerobica, si è arrangiato come ha potuto.

Così ho fatto anche io che, tra gli anni Settanta e Ottanta, ho tentato di trasferire e integrare le tecniche di Pranayama dello Yoga, che praticavo da diversi anni, nella mia pratica marziale ma, per quanto mi sforzassi, le due arti restavano separate e non riuscivo a fonderle in un’agire comune. Non riuscivo, proprio, a fare in modo che il respiro, così fluido e rasserenante durante le sedute di Pranayama, diventasse forza nelle mie braccia durante le tecniche di pugno e potenza propulsiva nelle mie gambe durante gli spostamenti; che mi desse stabilità senza rigidità e forza senza durezza. Non ci riuscivo proprio! Vivevo una situazione paradossale: da una parte il Pranayama mi permetteva di percepire le enormi potenzialità che si potevano sviluppare da una pratica consapevole del respiro; dall’altra mi faceva sentire un senso profondo di frustrazione, perché non sapevo trasformare queste qualità in pratica marziale. Non solo non sapevo come fare a trasformare il respiro in potenza e in forza propulsiva, per evitare quei logoranti sforzi muscolari che stavano indebolendo sempre di più il mio corpo, ma non riuscivo a capire dove, e quale, fosse l’errore che mi impediva di realizzare l’Opera. Eppure i “protocolli di pratica” erano corretti, ma il respiro non si “trasformava”. Certamente la consapevolezza fisica e mentale era aumentata, però restava confinata nel campo della dimensione interiore: il mio corpo, rilassato durante la meditazione, diventava teso durante il combattimento; la mia mente calma come un lago di montagna si agitava come un mare in tempesta; e il mio respiro, fluido e silenzioso come un fiume in pianura, diventava caotico e rumoroso come un ruscello di montagna appena la tensione e la fatica muscolare superavano il livello di guardia. Per quanto riguarda questo ultimo punto ero riuscito a trovare il rimedio andando a fare “footing”, però mi rendevo conto che era un rimedio “temporaneo” e “sintomatico” perché non risolveva il problema all’origine: la corsa aumentava la mia capacità aerobica, ma consumava tempo ed energie e non trasformava la natura del mio respiro, né tantomeno la qualità dei miei gesti marziali che, col passare del tempo, richiedevano sempre più fatica e sforzo muscolare per essere eseguiti. No! Non era quella la soluzione.

Un nuovo paradigma tra Movimento e Respiro

La soluzione la trovai, all’inizio degli anni Ottanta, nella pratica delle arti marziali interne cinesi (Taiji Quan e Xin Yi Quan) che, non ancora contaminate da una visione modernista, avevano mantenuto quel ricco patrimonio di pratiche interne che mi permisero di coniugare, nel tempo, ricerca interiore e potere marziale. Capii, attraverso queste arti, che bisognava uscire dalla logica del respiro come “sole immobile” intorno al quale ruota tutto il resto, tipico delle Vie di ricerca interiore, e focalizzare l’attenzione sul movimento. Cambio di prospettiva che avviò la “trasformazione marziale” del mio corpo.

Movimento e Respiro nella pratica marziale sono inscindibili come una coppia di ballerini, e si sostengono l’un l’altro in maniera attiva con una precisa gerarchia che non va sovvertita: il movimento “conduce” e il respiro “segue”. Solo così si può avere un’efficacia e un’efficienza che durino nel tempo. Le tecniche respiratorie del Pranayama, così come quelle delle diverse Vie, al contrario, richiedendo assenza di movimenti e immobilità corporea rompono questo rapporto. Quindi, sebbene utili per lo sviluppo interiore, sono quasi del tutto inadatte alla pratica marziale per sviluppare il potere che si può ottenere dal legame movimento-respiro.

Legame che richiede esercizi creati apposta per questo scopo che, purtroppo, nelle moderne arti marziali, troppo concentrate sul movimento generato dalla sola potenza muscolare degli arti, non vengono usati. Senza di essi il “gesto che respira”, per usare la bella espressione del Maestro Nando Balzarro, non si realizzerà mai, e non si attiverà tutto quel “sistema propulsore interno” in grado di muovere il corpo con grazia e potenza. Con gli esercizi di lavoro interno energetico (Nei Gong), cosi sono chiamati nella tradizione marziale cinese, non solo si “respira attraverso il gesto”, ma il gesto, opportunamente allenato, si può trasformare in “gesto di potere” in grado di cambiare totalmente la pratica marziale.

Però, affinché questo avvenga non è sufficiente una ricerca “fai da te” che mette assieme conoscenze diverse e frammenti d’insegnamenti di questo o quel maestro, ma ci vogliono trasmissione diretta ed esercizi nati con e per le arti marziali. Senza la trasmissione diretta, indipendentemente da quanto grande sia la propria esperienza e conoscenza, è difficile entrarci dentro perchè, dato che esternamente nella loro esecuzione formale non sono diversi dai normali esercizi usati da tutte le arti marziali, è facile pensare di poterli padroneggiare in breve tempo, è facile pensare “ma questi esercizi li faccio già”. Ma non è così: un conto è la riproduzione “esterna” del movimento, un altro è l’esecuzione ”interna”. Un conto è muovere braccia e gambe attraverso la muscolatura superficiale e periferica, posta ai quattro angoli della struttura corporea (pettorali, deltoidi, bicipiti, tricipiti – glutei, bicipiti e quadricipiti femorali), un altro è farlo con quella interna e centrale del tronco. Infatti, se non si tocca con mano, in senso letterale, il corpo di un maestro che sa farti “sentire” questa “trasformazione interna” del respiro in potenza gestuale; se non si è guidati “per mano” negli innumerevoli tentativi di riproduzione del processo, il “gesto che respira” non diventerà mai “gesto di potere”, e la forza muscolare esterna del corpo non si trasformerà in forza interna in grado di sfruttare la potenza propulsiva del respiro. Almeno questa è stata la mia esperienza! Senza l’incontro con il M° Guo Ming (George) Xu, avvenuto oltre quindici anni fa, mi sarebbe stato veramente difficile imparare ad usare “forze” di natura diversa da quella muscolare e attivare energie nascoste.

La via da seguire, semplice e precisa, passa attraverso la consapevolezza evolutiva del gesto che lega insieme movimento, respiro e forza. Si comincia lavorando assieme movimento e respiro per sviluppare la consapevolezza interna del corpo: muscolatura profonda, sistema mio fasciale, tendini legamenti e via di seguito. Lavoro di consapevolezza che permette, per fare solo qualche esempio, di coordinare il movimento del diaframma toracico con quello pelvico e con la muscolatura addominale; liberare l’azione delle costole, altro misconosciuto sistema di potenza inutilizzato; attivare il più ignorato gruppo muscolare: il muscolo ileo­psoas. Muscolo che nessuno allena, ma da cui dipende non solo la sinergia motoria tra colonna vertebrale e il sistema anche-bacino, ma anche, attraverso la dinamica respiratoria, la centratura, il radicamento e l’allineamento strutturale del corpo. Dinamica respiratoria che, contrariamente a quanto comunemente creduto, non è basata sulla respirazione addominale naturale, in cui si inspira facendo dilatare l’addome, ma sulla respirazione addominale inversa in cui si inspira ritraendo l’addome e si espira lasciandolo espandere. Nello Xin Yi Quan si dice: “Quando inspiri porta il respiro indietro e in alto (l’addome si ritrae), quando espiri avanti e in basso (l’addome si espande)”. Con la respirazione inversa centratura, radicamento, allineamento smettono di essere semplici sensazioni soggettive per diventare realtà fisiche sperimentabili e verificabili da chiunque voglia farlo. In termini pratici, dopo avere realizzato il legame tra gesto e respiro (il gesto che respira), la respirazione inversa permette di realizzare il legame tra potenza e respiro (il gesto di potere). Vedremo come nel prossimo articolo. Buon allenamento!

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