Modernità e Tradizione
Di: Fulvio Daniele
Articolo tratto da Samurai Gennaio 2010
In questi ultimi anni nel campo delle arti marziali si assiste sempre più
spesso ad uno strano fenomeno: maestri e praticanti con pluriennale esperienza
si rivolgono ai metodi di combattimento derivati dai corpi speciali dei vari
eserciti per imparare tecniche efficaci d’autodifesa. Ora, senza volere mettere
in dubbio l’efficacia di questi sistemi, mi domando: Perché lo fanno? Cosa
cercano che non sia già contenuto nella loro disciplina? Come è possibile che
non riescano a utilizzare l’enorme patrimonio tecnico contenuto nelle diverse
forme codificate? Nei kata di Karate o nei taolu del Kung Fu ci sono le risposte
a tutte le esigenze di un confronto globale. Però, evidentemente, un allenamento
non idoneo, svuotandoli dei principi marziali, rende le tecniche contenute
inapplicabili. Di chi la colpa? Che forse, all’improvviso, arti che si sono
sviluppate sui campi di battaglia e hanno superato la prova del tempo, non siano
più in grado di rispondere alle esigenze di difesa in una banale rissa da
strada? Non lo credo. Credo, invece, che la colpa sia nel conflitto che vede
contrapposte due fazioni: i modernisti e i tradizionalisti. I primi enfatizzando
troppo l’aspetto sportivo, mettono sullo sfondo i principi marziali, pensandoli
come un retaggio inutile di un passato ormai finito in contrapposizione con le
moderne metodiche d’allenamento; i secondi, in molti casi, riducendo gli stessi
principi ad un rituale ripetitivo svuotano la “pratica tradizionale” di quel
valore formativo e di conoscenza profonda che si portava dietro. La parola
“tradizionale”, in taluni di questi ambienti, è spesso usata per perpetrare un
insegnamento rigido che blocca qualsiasi creatività, costringendo le persone a
ripetere schemi tecnici ingessati dove all’attacco A corrisponde la difesa B,
dove il tale passaggio della forma X si applica solo in maniera Y. Dove,
paradossalmente, in una escalation senza fine, per spiegare le applicazioni di
una forma codificata si inventa un’altra forma codificata, spostando così
l’attenzione dalla comprensione creativa della tecnica alla sterile
memorizzazione tecnica.

Questa visione (marziale contro sportivo) non ha giovato a nessuno, infatti,
da una parte ha impoverito lo spirito originario, fino al punto di rendere la
arti marziali di difficile applicazione pratica al di fuori del dojo, dall’altra,
l’arte diventata sport, dura solo il breve tempo della stagione agonistica,
finita la quale, la maggior parte dei praticanti smette o migra verso altre
realtà. Comunque, duole dirlo, nella maggioranza dei casi, sia nel campo dei
tradizionalisti sia in quello dei modernisti, essendo l’attenzione rivolta
principalmente alla gara nello studio delle forme ci si concentra solo sugli
aspetti fisico-atletici, finalizzando il gesto tecnico a soli fini stilistici, e
nel combattimento libero si allenano solo quelle poche tecniche funzionali ad
ottenere dei punti. Ovvio, che così facendo, s’imprigiona il praticante dentro
schemi mentali limitanti che bloccano la crescita sia come sportivo sia come
artista marziale. Ora, fermo restando il valore educativo dello sport, che
costituisce un ottimo sistema di sviluppo per alcuni aspetti psicofisici sarebbe
ora, per non svuotare di valore le arti marziali, di adottare una didattica che
curi anche quelle qualità che fanno di un praticante non solo un virtuoso della
tecnica, ma anche un artista che attraverso la tecnica, intesa nel suo
significato originario di arte del fare, esprima al meglio se stesso nei diversi
contesti della vita: gara sportiva, difesa della propria incolumità fisica,
ricerca interiore. Qualità che per essere sviluppate richiedono una rivoluzione
copernicana della didattica che vede al centro non questo o quel metodo, ma il
praticante. Mettere al centro colui che pratica significa capire che, al di là
della visione modernista o tradizionalista, l’arte o la disciplina sportiva si
realizzano attraverso lo sviluppo delle potenzialità/abilità del praticante. Che
in ogni caso la potenza non va disgiunta dall’elasticità, la velocità dalla
stabilità, la coordinazione (motoria) dalla connessione (centro-periferia) e la
connessione dalla centralizzazione (delle forze) e dall’allineamento
(strutturale). Ma coniugare qualità così apparentemente contrapposte, esige di
andare oltre la visione biomeccanica del movimento corporeo come semplice
apertura e chiusura di leve articolari e interazione tra muscoli agonisti e
antagonisti, per arrivare ad una visione più articolata e complessa dove la
dimensione fisica del movimento, non disgiunta dai relativi aspetti psico-emotivi
ed energetici, diventa strumento di conoscenza delle proprie potenzialità
fisiche, mentali e spirituali.
I TRE LIVELLI
Livello Fisico.
Per un armonico sviluppo che coinvolga il corpo
nella sua totalità dal centro alla periferia, dall’interno verso l’esterno,
bisogna fare tre operazioni:
-
Attivare attraverso gli opportuni esercizi la
muscolatura profonda, potenziare tendini, legamenti e articolazioni per
migliorare stabilità e connessione interna, in modo da muoversi potenti,
elastici e precisi. I comuni allenamenti concentrano la loro attenzione solo sul
potenziamento dei muscoli superficiali, trascurando l’enorme potenziale di quelli
profondi e dimenticando un fattore importante che può vanificare ogni cosa: più
forte diventa un muscolo più sottopone a stress il tendine e la struttura
osteo-articolare connessi. Ecco perché gli antichi allenamenti, per evitare
problemi di vario genere, prevedevano degli specifici esercizi di potenziamento
di tendini, legamenti e articolazioni.
-
Centralizzare e gestire la forza dal
centro del corpo (hara – dantian) in modo da essere imprevedibili e mutevoli.
-
Attivare la potenza propulsiva del respiro per risparmiare energia e forza, e
lavorare in armonia con la forza di gravità, sfruttando a nostro vantaggio la
forza peso.
Lavoro sulla muscolatura profonda, tendini e legamenti, esercizi di
centralizzazione della forza, potere del respiro sono allenamenti che i
“modernisti” ignorano e i “tradizionalisti” non sanno neanche che esistono,
mentre, dovrebbero essere la base non solo per l’artista marziale, ma per tutti
quelli che vogliono ottimizzare il loro allenamento e avviare “il potente motore
interno” in grado di raddoppiare la potenza del corpo. Per esempio, di norma, si
parla del respiro solo in termini di capacità aerobica e si pensa, giustamente,
che migliorandola migliorino le performance fisico-atletiche, ma s’ignora l’uso
del respiro come forza propulsiva del corpo in grado di farci muovere potenti,
veloci e precisi. Il diaframma toracico, quello pelvico, i muscoli respiratori
intercostali, l’addome sono un potentissimo motore pneumatico che pochi
conoscono e sanno usare.
Livello mentale.
Allineare il flusso dell’intenzione cosciente ai movimenti corporei così che
ogni gesto tecnico nel suo agire sia globale, finalizzato, efficace: Globale vuol
dire che quando eseguo una qualunque tecnica non è un arto che si muove, ma
tutto il corpo, vuol dire che quando un muscolo, anche il più periferico, si
muove coinvolge in un movimento sinergico tutti i muscoli producendo, così, un
effetto globale altamente organizzato. Motivato vuol dire che ogni gesto, anche
il più semplice, deve essere un gesto consapevole in grado di svolgere la sua
funzione seguendo il flusso dell’intenzione cosciente in maniera coerente.
Esempio un ballerino, un ginnasta sono in grado di muovere gli arti in maniera
armonica e potente alla stessa maniera di un artista marziale, ma i loro
meccanismi mentali (motivazioni) sono del tutto differenti, per cui, pur essendo
in grado di sollevare una gamba, non finalizzeranno mai il gesto per dare un
calcio al viso. Efficace è un gesto non solo globale e giustamente motivato, ma
che mantiene la sua efficacia nel tempo, che non offende il corpo, che lavora con
il minimo dello sforzo e il massimo dell’efficacia. Ottenere dei risultati
agonistici sacrificando l’efficienza del corpo non è saggio, saggio è allenarsi
sapendo come preservare la salute del corpo, mantenendosi efficienti ed efficaci
anche in età avanzata.
Livello energetico
Con questo livello si entra in quella dimensione in cui la pratica diventa
trasformazione. Livello magistralmente descritto dai grandi maestri del passato
che, purtroppo, quasi tutti pensano essere solo lirismo letterario senza nessun
riscontro pratico mentre, al contrario, è realtà di pratica “sperimentabile”
anche oggi con il giusto insegnamento. Ottenuti questi primi obbiettivi
(connessione interna – centralizzazione- respiro- allineamento mente-corpo)
bisogna sviluppare una qualità importantissima: la forza a spirale. Tutti i
movimenti corporei sono movimenti a spirale, non esiste nel nostro corpo nessun
muscolo o segmento osseo che si muova rettilineo, per cui se non alleniamo
questo tipo di forza i movimenti saranno sempre impacciati e scarsamente efficaci.
Senza la forza a spirale, se ad una distanza di combattimento medio-lunga ve la
potete in qualche maniera cavare, alla corta distanza, anche se conoscete tutti
i metodi d’autodifesa del mondo, non avrete nessuna possibilità. Senza di essa
non si esce da una leva articolare o da una presa al collo, come non si riesce a
fare niente nella lotta a terra.

A tale proposito, ne sanno qualcosa tutti quei marzialisti esperti di tecniche di percussioni (calci e pugni), che si sono
avventurati nel mondo delle MMA (Mixed Martial Arts) che sono stati sconfitti da
atleti abili nelle diverse tecniche di lotta. Così come quei marzialisti che si
sono avventurati nel variegato mondo dei sistemi moderni d’autodifesa convinti
di avere imparato a difendersi, che hanno visto naufragare le loro abilità,
fortuna per la maggioranza di loro, non in una lite da strada,
ma al primo e
leale confronto non collaborativi in palestra. Nessuna arte marziale, metodo di
combattimento funziona, senza un corpo forte, flessuoso, agile come quello di un
animale allo stato brado; senza una mente in grado di adattarsi alle mutevoli e
imprevedibili situazioni di un combattimento reale, dove non esiste divisione
tra tecniche di percussione (calci, pugni, gomitate e ginocchiate), leve
articolari, proiezioni e lotta a terra. Abilità/attitudini che non si
acquisiscono studiando e cercando di memorizzare innumerevoli combinazioni
tecniche stereotipate, ma lavorando schemi motori corporei (percorsi di forza)
interni in grado di dare origine alle varie tecniche e al loro intrecciarsi in
maniera naturale e spontanea senza bisogno di ragionare, senza bisogno di
pensare, ma adeguando, combinando e ricombinando i nostri gesti tecnici in
maniera creativa ed efficace. I movimenti che un corpo può fare sono innumerevoli
e altamente complessi, ma si basano su pochi ed essenziali schemi motori interni
della colonna vertebrale (Cfr. Flavio Daniele - “Xin Yi Quan – L’Arte del
Combattimento Istintivo” - Ponchiroli Editori). È su questi che bisogna lavorare
se vogliamo essere in grado di affrontare qualsiasi avversario senza conoscere
prima la sua tecnica di combattimento, senza perdere tempo ed energie a studiare
le diverse strategie (boxe occidentale, lotta, judo, karate, ju jitsu ecc.)
nella vana, quanto inutile speranza, di riuscire a cogliere il meglio d’ogni
arte e fonderlo in una tecnica superiore che le contenga tutte, non sapendo che
ci vogliono anni e anni di pratica per impadronirsi di una qualsiasi disciplina,
e ancora di più per estrarne il meglio, e poterlo organizzare in un qualcosa
d’organico che non risulti, alla fine, essere un’accozzaglia di tecniche
assemblate alla meno peggio che va in frantumi al primo confronto reale.

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