Lecti, Meditati, Actio
(lettura, meditazione, azione)
Di: M° Ciro Varone
Shingeru
Egami scriveva: “Il problema della mente è profondo. La sua
elevazione ad uno stato superiore, l'allargamento e la purificazione
di se stessi, sono le ultime cose da conseguire per mezzo della
pratica. Si devono allenare mente e corpo, perché diversamente la
pratica non ha senso. Tentando di pulire la vostra mente dalle
impurità della vita quotidiana, per mezzo del contatto spirituale
con gli altri. La mente ed il corpo sono simili a due ruote di un
carro, nessuna delle due ha il predominio. Questa è la pratica
autentica. Ottenere qualcosa di valore spirituale nella vita è vera
pratica. Entrando in contatto fisico con gli altri, si entrerà anche
in contatto spirituale. Nella vita quotidiana bisogna arrivare a
conoscere le nostre relazioni con gli altri, come ognuno di noi
influisca sugli altri e come le idee si possano scambiare. Si devono
rispettare gli altri e pensare bene di loro. Le persone devono
essere mentalmente aperte e rispettose del benessere e della
felicità altrui. In un combattimento, quando riuscirete a
trascendere dalla semplice pratica, riuscirete ad essere una cosa
sola con il vostro avversario”.
Bisogna ricordare che alleniamo un percorso che per realizzarsi
“deve”, per “forza”, riservarci molte prove e difficoltà, tale è la
conditio sine qua non del “do”: scendere in profondità (fukai)
della pratica per trovare ciò che non possiamo avere in superficie,
e questo dipende solamente dalla nostra volontà. Il principio del
karate non si può che trovare per mezzo dell’allenamento che è allo
stesso tempo “costruire e abbattere”, “domanda e risposta”.
Quali e in che misura queste “difficoltà” si manifesteranno dipende
dal cammino che ognuno di noi compie e dall’atteggiamento con cui si
predispone a questo processo di trasformazione fisica e spirituale:
sicuramente diventa più “facile” e accomodante ancorarsi a dei
risultati tangibili, materiali che sono riscontrabili
nell’immediatezza del momento, ma che , tuttavia, non sempre
garantiscono l’ esattezza del percorso e che in seguito deviano
dalla traiettoria originale.
Per
l’essere umano la predisposizione ad alleggerire le “fatiche” e a
vantarsi dei risultati materiali raggiunti(grado, qualifica e/o
premi sportivi), sono pericoli sempre in agguato, dove molti
praticanti incappano e poi annaspano fino a perdere le forze per
continuare nella pratica. In questi casi manca, o sono venuti a
mancare, la comprensione del reale valore dell’esperienza propria
acquisita per mezzo della pratica ascetica-marziale.
Naturalmente il tirocinio di un’arte marziale è lungo una vita,
un’esistenza votata alla discrezione, alla disciplina, all’apertura
mentale e alla continua ricerca di una forma psichica-spirituale
sempre più elevata: tale presupposto, però, strida con il mondo
attuale e ne decreta l’inconciliabile connubio del “tutto subito” e
con meno sforzo possibile: l’omologazione uniformante è per il
praticante e per l’arte stessa catastrofico, di conseguenza tutto
ciò che si è costruito nel corso degli anni si sgretola in
pochissimo tempo, lasciando senza “vita” e senza linfa l’arte; una
ri-trascrizione del rapporto uomo-tecnica che prende il potere
sull’uomo-arte. Si tratta, insomma, di un’ involuzione, una
incapacità di orientarsi nel lungo e intricato percorso del “do”.
La
pratica moderna del karate ha trasformato profondamente il valore
dell’arte, modificandone i concetti basilari della natura stessa,
per cui il karate oggi è visto sotto una luce radicalmente opposta
alle ragioni e necessità che gli hanno dato vita, oggi la tecnica
si è evoluta e può ancora migliorare fino a toccare punte
altissime, ciò nonostante, essa dovrebbe pur sempre rispondere alle
arcaiche esigenze non divenendo una settore a se stante dalla natura
marziale, ovvero dall’idea unitotale che prevede l’unione della
tecnica con lo spirito e con il corpo, della vita e della morte
racchiuse in un unico momento; Seneca scriveva: “Puoi star sicuro
di questo: non trepiderò di fronte alla morte; già vi sono
preparato; i miei propositi non oltrepassano il corso di una
giornata”.
Quando si verifica questo non attaccamento alla materialità delle
cose, si realizza una mutazione che porta miglioramento al movimento
karate e all’uomo-praticante: un progresso ancora più perfetto del
progetto originale, portando l’uomo verso una maggiore
consapevolezza e potenziamento del proprio essere, lasciando che
trovi sempre una netta distinzione tra il potere ammaliante
dell’estetica e materiale con quello erudito, trasmesso attraverso
un cammino (michi) marziale, se tutto questo rimane sospeso e
non si concretizza nella vita di tutti giorni e viene a mancare la
rigorosa pratica, il tutto si riduce ad un semplice sport, ad una
sudata che presto o tardi non susciterà più il nostro interesse;
mentre, chiudendo con un discorso non mio ma di Michael Ende, l’arte
marziale e il karate in particolare, praticati con onestà
intellettuale e con il giusto atteggiamento sono per l’uomo moderno
un continuo processo di miglioramento e trasformazione,
intraprendere la via (do) può rappresentare l’avventura più
emozionante, preminente che un uomo possa mai affrontare : “…dal
quel giorno in poi qualcosa cominciò veramente a cambiare, sebbene
Bastiano non se ne accorgesse. La forza trasformatrice della Casa
che mutava faceva il suo effetto. Ma, come tutte le vere
trasformazioni, essa avveniva lentamente, in silenzio, come la
crescita di una pianta" (Michael Ende).
M° Ciro Varone
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