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Federazione Educativa Sportiva Italiana Karate

Ritmo Yoshi

Di: Ciro Varone
Dal sito federale FESIK

Ne bujutsu classico l’esercizio  del combattimento era, per un certo periodo di studio, basato sulla tecnica e sulla capacità  coordinativa  che ne scaturiva dall’ assimilazione della stessa. Tutto ciò, però, non bastava a garantire, in uno scontro mortale la sopravvivenza,  poiché  ricreare in allenamento la realtà del  campo di battaglia  era quasi impossibile.

Quindi era insufficiente studiare esclusivamente le combinazioni tecniche che mai avrebbero potuto riprodurre lo stesso realistico scenario, così si approfondirono l’ armonizzazione di alcune funzioni come yomi (percezione) e yoshi (cadenza, ritmo) che se ben sviluppate erano insieme al ma-ai gli unici margini di raffronto immutabili giacché uscivano dalla semplice sfera tecnica e andavano ad agire su aspetti spirituali e psichici.

Nelle scuole classiche per imparare a trovare yomi e yoshi  si praticavano diversi esercizi di kokyu tanden ho, che consisteva nell’adattamento del proprio ritmo a quello dell’avversario: solamente attraverso questi esercizi, si imparava a “sentire” la respirazione dell’altro il  ritmo e di conseguenza si poteva scoprire  il suo suki (punto debole).

Per fare in modo che queste facoltà  potessero essere utilizzate nella realtà della lotta il guerriero doveva affinare la percezione(yomi). E la capacità di trovare e rompere il ritmo dell’avversario (yoshi)  applicando il tutto con maestria e fluidità(noru).

Oggi, nei combattimenti delle discipline intese come forma di sport, è più importante la tecnica che lo spirito un tempo invece  l’estensione della percezione delle capacità di comprendere e sapere finalizzare il ritmo dell’avversario era di vitale importanza e poteva garantire la sopravvivenza.

Attualmente la ricerca del “risultato” ci fa perdere il “sesto senso” svincolando il fisico dallo spirito lo scontro si decide esclusivamente sulle capacità atletiche le quali col trascorrere degli anni andranno sempre più a scemare creando un divario sempre più grande tra un giovane atleta  prestante e un anziano praticante.

Per studiare e comprendere lo yoshi è importante sia  non resistere all’avversario che  non farsi schiacciare dalla sua aggressività; dopo qualsiasi colpo o  tecnica di finta (shikake waza) bisogna ritrovarsi in itzuku(immediato rilassamento) e congiungersi con l’avversario: addestrarsi con questo principio  aiuterà ad afferrare lo yoshi dell’avversario e mutarlo a nostro vantaggio, in giapponese kurai dori (il controllo della altrui consapevolezza).

Lo sforzo di “percepire” è preliminare e indispensabile  per ogni sistema di lotta legato alla sopravvivenza: esso  ci permette di scorgere e intuire anche la più piccola azione fisica e mentale dell’oppositore anticipando gli effetti delle sue azioni, shin-ki-tai, tradotto in termini pratici: shin è la condizione mentale  di avvertire, ki è l’azione stessa di eseguire la tecnica necessaria allo scopo, tai è il corpo, la tecnica che si concretizza attraverso l’ausilio del corpo.

Ciro Varone

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