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Federazione Educativa Sportiva Italiana Karate

Il Karate Shotokan Tradizionale

Di: Andrea Cerretelli
foto tratte da http://www.cerretelliandrea.it

E’ superfluo e ripetitivo spiegare ancora una volta la storia del Karate italiano e dell’artefice che l’ha portato a questo grandioso successo anche perché largamente illustrato e chiarito dalla bibliografia in generale. Tralascerò quindi volutamente di esaminarne quest’ aspetto.

Preferisco invece prendere in esame il  movimento in sé, quella gestualità tecnica e stilistica e quei concetti classici-tradizionali  tramandataci dalla scuola alla quale molti di noi sono appartenuti e dalla quale, nonostante il nostro lungo percorso formativo,  riesce difficile discostarsene, finendo un po’ troppo spesso per proporre in modo ortodosso  gli stessi schemi e la stessa cultura, quasi per timore, altrimenti, di svalutarne il significato. E questa limitazione purtroppo conduce inevitabilmente a un insegnamento che, restando immutato nel tempo, finisce col rappresentare solo parzialmente questa grande anima che è il Karate Classico Tradizionale.

Inoltre, per sfortuna, il nostro karate non è più in linea con i tempi e anche cercare di rincorrere i probabili praticanti non è certamente onesto oltre che svilente.

Dovremmo  in  realtà  provare  a  pensare a quest’Arte Marziale  in  termini  più  spontanei, più veri,  nel  senso  che,   trattandosi  appunto di  Arte, come  giustamente  tutti  affermano, è  legata indissolubilmente alla  ricerca  e allo  studio di  chi la conduce; il  Maestro.

Questa  figura è  effettivamente  l’unico  motore vero del  movimento, colui  in grado di  infondere nei praticanti entusiasmo, coinvolgimento e  passione  .

Spesso  l’incertezza di  alcuni  Maestri (peraltro  molto  preparati   tecnicamente) di  manifestarsi liberamente,  porta  ad  un  impantanamento della  pratica e  della  ricerca. Significa,  in  termini  concreti,  la paura  di uscire  da  schemi obbligati ma sicuri e collaudati,  che un  cliché, magari  pieno  di  lusinghe, ha  cucito  loro addosso.

E non osano andare oltre uno  studio,  sicuramente profondo e accurato,  ma  ancorato  solo  a  quella  parte  obbligata che  è  il  perfezionamento, comunque assolutamente  necessario, specifico  delle  Arti  Marziali Orientali.

Vedo intorno troppo tecnicismo superficiale dove si pone troppo l’attenzione su una mano posizionata più alta o più bassa. Questo può funzionare per la competizione, dove è naturale un “impoverimento” o una “esasperazione” della tecnica se ciò diventa sintesi estrema o “ampio respiro” del movimento, allenato per ottenere il punto.

Ma la “vera lezione” dovrebbe assolvere a compiti ben più complessi e basilari.

Ritengo,  che  il  Karate  Tradizionale  ci  dia  tutti  i  mezzi necessari  per  affrontare, totalmente  le  domande  dei  nuovi  praticanti. Basta  considerare l’enorme  patrimonio  tecnico-motorio-dinamico di cui possiamo fruire da tanti altri  punti  di  vista.

È  in  quest’ottica  che cerco di trovare  costantemente soluzioni  e  idee nuove  per  l’allenamento, attraverso un  programma  ben  definito e articolato che  produce  nel  tempo  risultati  pratici e  visibili,  sia  in  senso tecnico ,  fisico, e  psicologico.

La parte dedicata alla sensibilità dei colpi

E’  dal  1980 circa  che  mi  pongo  e ricerco  in  questo  senso. Erano  passati  appena  6  anni  dall’inizio  della  mia  pratica, quando  cominciai  a  nutrire  dei  seri  dubbi  sull’uso  del  Makiwuara. Vedevo sì le  mie  mani indurirsi ma nel contempo  avevo  sempre  più  difficoltà  a  tenerle  aperte e  tese.  Le  articolazioni  delle mie mani si erano “semplicemente” danneggiate e allora cominciai ad  usare il  sacco in  sostituzione del Makiwuara, ovviamente  a  mani nude, quasi  di  nascosto,  perché  c’era la convinzione  che  l’ uso  del  sacco con le  mani  rovinava  l’efficacia della  tecnica del  pugno, ma continuai ugualmente, proprio  perchè  sentivo  la  necessità  di  capire  la  dinamica del movimento  che  mi  veniva  abbondantemente  spiegata  a  vuoto sul  concetto  del  colpo.

La  contrazione  e decontrazione, ecco la vera  anima  dell’efficacia.

Da  10  anni, quando studiamo  le   dinamiche  dei  colpi, durante  lo  svolgimento  dei miei corsi, usiamo  attrezzi relativamente  morbidi, dove  scarichiamo le  tecniche; non  mi dilungherò tuttavia  ad  elencare i lati  vantaggiosi  di  questo  tipo di allenamento,  in quanto  del tutto  personale, e  non indicativo  per  nessuno.  A  mio  avviso, comunque,  questo  percorso  fa acquisire al  praticante  una  sensibilità  corporea migliore rispetto al  non  contatto.

Questo  porta  ad  uno  studio  del  kumite  un po’ diverso  dall’idea ortodossa e  comunque  legata quasi  esclusivamente alla  competizione. Il  contatto  che  viene  provocato senza  bisogno  di  troppe  protezioni,  salvaguardando  la  faccia, è necessario e  fondamentale per la comprensione della tecnica; lentamente  si  attenuano  le  paure  dei  colpi,  e il  praticante riesce a raggiungere una  consapevolezza  diversa  della  sua  tecnica, e comunque  non  pensa più  ad  un  colpo  solo, ma  ad  una  concatenazione di colpi che varia costantemente  la  distanza.

Kata e Kion

Ritengo  e  continuo  a  credere  che  solo  lo  studio  incessante  di  queste  2  caratteristiche del  Karate  tradizionale, porti  effettivamente  ad  un  miglioramento  che non si  perde  con  il  passare della  vigoria fisica. È in effetti  uno  studio  che  può  trascendere  dalla  fisicità, consentendo  un  lavoro sulla  mente  e  sugli  stati  più  profondi  del  nostro respiro, al  fine  di  liberare  tensioni e  blocchi nascosti.

Le  possibilità  su  questo  lavoro  sono  infinite:  considerando  i  26  kata  dello  shotokan,  con le  relative  varianti, possiamo  raggiungere  innumerevoli ripetizioni  .

È  proprio  sulle  varianti,  che  personalmente  scopro  nuovi  e  fruttuosi stimoli  per  il  Kion: le  rotazioni che  inducono  il  controllo  assoluto  del  corpo,  le  posture  corrette,  le  posizioni  con  i  piedi sempre  bene  a contatto col suolo,  le  spalle  rilassate, il baricentro  che spinge  verso  il  basso la sua forza, la  respirazione  più  attenta con un  Kime vero,  profondo e  non  gutturale. Ecco che  si  attivano  i  meccanismi, per  rotazioni  e spostamenti,  fluidi  e  dinamici,  con un  controllo  del  corpo   sempre  più  cosciente.

Credo  fermamente, e  non  solo  io, che  l’idea  del Bunkai dei  Kata,  sia assolutamente personale,  proprio perché  rientra  in  quella  logica di  studio di cui  mi sono già espresso. Da  anni  cerco di  dare e  darmi  spiegazioni chiare  su  questo  tipo di  pratica,  che reputo  basilare per comprendere  i  significati  più  profondi delle  tecniche. E’  proprio  in  quest’ottica, ed  anche attraverso le  dinamiche  esecutive dei  Kata, con  le  sue molteplici  varianti, che  possiamo effettivamente pensare  al  Bunkai in  termini  veramente efficaci.  Lo  studio e la pratica incessante,  porta ad  una  inevitabile  crescita,  sia  sul  piano tecnico che  quello spirituale.

Il Maestro che  ricerca e  lavora, mettendosi in discussione con l’umiltà del praticante, ha  dalla  sua  un’  arma  in più  rispetto a  chi  si  occupa, comunque  degnamente,  solo  di  insegnare. Egli  mantiene  il  suo  spirito modesto, come è necessario in una proficua ricerca che imponga la  pratica  personale. Ciò rende superflue lusinghe e appariscenti gratificazioni . Nella  assoluta convinzione    che  ognuno  di  noi ha  sempre  da imparare da  qualcun  altro, e che  la  formazione  è  infinita, credo  che  dopo  anni di fruttuoso  allenamento, (più di  venti nel  mio  caso)  con  Maestri di alto livello , si debba perseguire la costruzione di una propria identità. Questo processo di crescita è reso possibile solo dalla pratica, dall’esperienza, dalla ricerca e dallo studio. Così è stato ed è  il  mio  percorso,  in  solitudine,  spesso molto  duro,  ma  anche fortificato dalla serena  consapevolezza di  essere  sempre presente a  me  stesso lungo un cammino che non conosce termine : perché ciò che conta è il viaggio, non la meta. Questa  è  la  mia  spiritualità e la  mia idea di  questa Arte  Marziale Orientale .

Andrea Cerretelli

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