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Muay Boran

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Le Forme tecniche, fondamenta reali dell’Arte Marziale

Di: Marco De Cesaris

Quello che mi interessa nell’Arte Marziale, quello che mi appassiona, è il Movimento, il fine del Movimento che è sempre astratto e puramente spirituale e che viene a mescolarsi alla passione e all’emozione del momento.”
Yves Klein, Artista e Maestro di Judo (1928-1962)

La frase del celebre artista francese morto giovanissimo a 34 anni ma tutt’ora ricordato come uno dei maggiori pittori europei del ‘900 e come uno dei più profondi conoscitori dei Kata del Judo Kodokan, ci offre lo spunto per indagare le valenze nascoste della pratica moderna delle Forme codificate di un’Arte Marziale; le Forme come paradigma dell’arte marziale, portatrici del DNA stesso di discipline tramandate attraverso di esse nel corso dei secoli.

In un’epoca di ricerca spasmodica del risultato immediato ad ogni costo, soprattutto in campo sportivo, ha ancora senso praticare le Forme tradizionali secondo criteri vecchi di decine di anni?

Che benefici reali può apportare una pratica apparentemente scissa dal contesto combattivo reale?

Si può ancora affermare che le Forme codificate contengano “segreti” marziali, nell’era dove tutto è palese e disponibile in rete?

Come sempre la nostra analisi partirà dal campo di appartenenza dell’autore del presente articolo che nello specifico è rappresentato dall’Arte Marziale Tailandese a mani nude, la Muay Boran.

Fondamentalmente le forme tradizionali del Muay vengono praticate in due modi distinti: le sequenze a coppie e quelle a solo.

La prima modalità trova delle similitudini, mutatis mutandis, nei Kata di Judo. In questo tipo di esecuzione gli adepti eseguono una serie di attacchi, difese e contrattacchi, sfruttando unicamente le armi naturali del corpo (pugni, gomiti, ginocchia, piedi, tibie e testa), alternando movimenti lenti e ritmati ad esplosioni di energia accompagnate da sonore espirazioni.

La seconda modalità è invece paragonabile ai Kata di Karate (e di molte altre arti marziali che seguono un sistema analogo) e mira ad eseguire serie di movimenti di attacco e difesa contro un avversario immaginario, anche qui con un’alternanza di ritmo lento e rapido. In questo caso il praticante deve sforzarsi di eseguire ogni azione con la massima fluidità concatenando i movimenti senza soluzione di continuità.

In entrambe le modalità, quella a coppie e quella a solo, gli atleti che si avvicinano a tale pratica in maniera seria e non sporadica, attraversano nel tempo varie fasi, tutte di alto valore pedagogico:

nella fase di apprendimento di base “una montagna è una montagna”, ogni tecnica deve essere praticata centinaia di volte secondo le esatte tipologie che vengono trasmesse dal maestro senza aggiungere nessun elemento esterno alla forma originale. Così facendo si crea l’imprinting, la memoria del corpo che fa si che il DNA stesso della nostra Arte Marziale divenga parte integrante del nostro modo di muoverci e di reagire alle situazioni di confronto. Nel campo della Muay Boran tale fase corrisponde all’apprendimento delle sequenze fondamentali di tecniche base (Mae Mai) e di tecniche avanzate (Look Mai) così come vengono tramandate dalle principali correnti stilistiche in Tailandia.

Nella seconda fase, che chiamiamo intermedia, il maestro stesso deve dare l’impulso alla lettura critica delle tecniche formali acquisite dagli allievi i quali, grazie alla lunga ed assidua pratica “meccanica” svolta nella prima fase, hanno sviluppato la sensibilità giusta per poter iniziare a leggere tra le righe della rigida codifica originale. Nel caso delle sequenze Mae Mai e Look Mai succitate, è a questo stadio che interviene lo studio approfondito e la pratica delle cosiddette “varianti” delle tecniche fondamentali, tratte dagli approfondimenti compiuti sul tema da alcuni eccelsi maestri del passato. In questa fase critica in cui “una montagna non è più una montagna” i praticanti si confronteranno con situazioni sempre più complesse di scontro, mettendo alla prova il proprio imprinting, personalizzando se necessario e trattenendo per il proprio bagaglio tecnico solo quelle varianti che sentono più adatte a loro.

Nella fase di studio più avanzato, il cerchio si chiude, l’allievo riesce a cogliere gli elementi comuni ad ogni variante delle forme originali, riconducendo ogni tecnica a principi universali del combattimento. A questo stadio in cui “una montagna è nuovamente solo una montagna” ogni sfumatura tecnica ed ogni principio di base delle Mae Mai e delle Look Mai nelle loro molteplici versioni è coerente con il modo di vedere la lotta tramandato per secoli dai maestri siamesi, e l’allievo è in grado di offrire quanto appreso ai propri colleghi, entrando di diritto a far parte della schiera dei Kru Muay o Maestri di Lotta.

Come detto le due modalità di pratica delle forme Muay sviluppano nel praticante attributi essenziali per migliorare la propria efficacia in un combattimento reale: praticando assiduamente in coppia, il thai boxer accresce grandemente il proprio tempismo ed il proprio senso della distanza di fronte ad un avversario che, a seconda della forma praticata, lo incalza, lo sfugge, lo attacca violentemente con le braccia o le gambe, cerca di afferrarlo e così via. Approfondisce inoltre la propria conoscenza dei punti sensibili, impara come attaccarli e come proteggerli.

Nella pratica costante a solo impara realmente a combinare in modo fluido gli spostamenti offensivi e difensivi ai colpi e alle parate o schivate, perfezionando la tecnica e migliorando contemporaneamente la velocità degli attacchi, l’equilibrio dinamico e la resistenza cardiovascolare. E’ inoltre provato come una profonda concentrazione nella pratica solitaria delle sequenza sia paragonabile ad una vera e propria forma di meditazione in movimento, elemento che contraddistingue l’esercizio marziale ad alto livello di tutte le discipline orientali di lotta.

E’ qui che il marzialista diventa veramente artista, nella ricerca ininterrotta del raggiungimento della perfezione del proprio gesto, del Movimento tanto amato dal grande Yves Klein che di tale pratica aveva perfettamente colto l’essenza.


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