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ANCORA UN BELLISSIMO ARTICOLO DEL DOTT. ENZO CELLINI SUI RISCHI NELLA PRATICA DEL KARATE SHOTOKAI. CONTRARIAMENTE A QUANTI MOLTI DI NOI POTREBBERO PENSARE, QUESTI SONO ANCHE E SOPRATTUTTO ALTRI… MA COME AL SOLITO DIPENDE DAL PUNTO DI VISTA E NATURALMENTE DALLA PROFONDITA’ E LIVELLO AL QUALE SI PRATICA ED I SUOI MAESTRI DIRETTI, SONO SEMPRE STATI I MASSIMI ESPONENTI DELLO STILE DA LUI PRATICATO.I RISCHI DELLA PRATICADi: Dott. Enzo Cellini (da: www.irimi.it)Dopo aver praticato Shotokai per 20-30 anni, ognuno di noi prima o poi è inevitabilmente spinto a percorrere una propria "via" personale. E' giusto, naturale ed anche augurabile che ognuno possa esprimersi nello Shotokai e nella vita per quello che veramente è. Direi che lo Shotokai, attraverso l'apprendimento delle tecniche ed attraverso la ricerca dell'armonia insegna senz'altro a ritrovare se stessi, a capirsi e ad automigliorarsi. Purtroppo spesso durante questo percorso si rischia di deviare o fermarsi. Si rischia di non andare oltre le prime fasi perché ci si accontenta di alcuni effetti positivi delle prime conquiste. Si diventa più sereni, si vive maggiormente in armonia con se stessi, le tensioni interne diminuiscono. Tutto questo rischia di bastarci. Ma quello che lo Shotokai può dare ai suoi praticanti, è ben altro: ci insegna a diventare meno egoisti ed aprirci verso gli altri e trasmettere verso l'esterno quella serenità che abbiamo conquistato dentro di noi, esportarla alle persone che ci circondano, superando i conflitti interiori e di conseguenza i conflitti con gli altri. L'Armonia interiore è soltanto un illusione che svanisce se non è condivisa e se non siamo capaci di contagiare positivamente coloro che ci sono vicino. L'auto-miglioramento è l'aspetto più difficile, ma anche più affascinante della nostra pratica, tutte le conquiste interiori si trasformano in clamorosi fallimenti quando queste non sono rapportate agli altri. Il metro di valutazione dei nostri progressi interiori e del nostro auto-miglioramento è il modo in cui ci rapportiamo tutti i giorni con gli altri. Se non abbiamo acquisito la capacità di assorbire e dissolvere le tensioni e l'aggressività nei nostri confronti da parte degli altri, se non siamo in grado di controllare le nostre reazioni, le nostre emozioni, come possiamo pretendere di "gestire" un combattimento, un aggressione violenta contro di noi, se per molto meno perdiamo la calma, lasciando che l'emotività prenda il sopravvento facendoci perdere il controllo della situazione, reagendo in molti casi esageratamente e nel modo sbagliato.
E' attraverso gli altri che dobbiamo osservarci quotidianamente per verificare se la nostra "via" sia veramente giusta e se sia veramente fedele al metodo della pace "heiho", del M° Egami. l M° Egami diceva che nell'allenamento dobbiamo imparare la purezza di spirito di un neonato e quando siamo di fronte ad un avversario bisogna riuscire a rispettarlo e ad amarlo, questo spirito secondo il M° Egami è la via del karate. Mi rendo conto che a qualcuno queste parole possono suonare strane, ma questi concetti fondano le radici nella cultura marziale giapponese antica; possiamo dire che il karate del M° Egami si è evoluto mediante la fusione delle due nozioni, budo e heiho profondamente radicate nella cultura tradizionale dei guerrieri giapponesi. Il M° Egami, ha portato così fino in fondo la ricerca dell'efficacia nel combattimento, spostando l'obiettivo dalla morte alla vita. Come scrive il M° Tokitsu nel suo libro "Storia del Karate", le arti marziali giapponesi hanno subito una evoluzione seguendo diverse tappe: come vincere distruggendo l'avversario; come vincere utilizzando meno forza; come vincere senza far male al proprio avversario; come non fare la guerra e infine, come instaurare la pace. L'evoluzione descritta, evidenzia in una serie di passaggi, l'elevazione della condizione dell'uomo dallo stato animale fino allo stadio spirituale più alto: l'instaurazione dell'armonia. L'ideogramma giapponese che rappresenta il termine "uomo" (hito) è formato da due linee inclinate che convergono e che si sorreggono a vicenda, proprio ad indicare che l'uomo non può progredire da solo, non può esistere da solo ed ha bisogno del prossimo. E' proprio per questo che nel nostro allenamento orientiamo tutti gli esercizi alla comunicazione con qualcuno, per allenarci ad una sensibilità maggiore alla sua presenza ed una maggiore armonia con esso. La capacità di capire il prossimo, la comprensione profonda di chi si ha davanti o intorno deve diventare l'oggetto della nostra ricerca nello Shotokai per raggiungere l'efficacia e nella vita per armonizzare e migliorare la propria esistenza e quella degli altri. Bisogna aprirsi per capire il prossimo, capire le sue intenzioni ed il suo pensiero, per poter così anticipare i suoi bisogni e colmare i vuoti che si creano. Purtroppo spesso noi praticanti più anziani, nonostante gli anni di allenamento restiamo chiusi in noi stessi, convinti che le nostre conquiste interiori e le tecniche sviluppate siano la strada giusta, l'unica strada giusta, citando spesso a sproposito per avallare le proprie teorie, frasi dette dai nostri maestri (Murakami e Egami). Rischiamo così di sentirci detentori della verità, della "vera" via, considerando i colleghi dei dilettanti. Questo risultato, purtroppo è l'esatto contrario dell'insegnamento dei nostri maestri. Per comprendere ed affrontare con buone probabilità di successo un combattimento, non possiamo permetterci di trascurare il prossimo. La nostra disciplina diventa completa soltanto quando la nostra pratica quotidiana ha come obiettivo il miglioramento delle nostre capacità di percezione della presenza altrui; non attraverso la vista, l'udito, o il tatto ma attraverso tutto il proprio essere. Questo difficile ma affascinante percorso necessita da parte del praticante di una apertura e di una disponibilità totale. Attraverso la pratica costante e la meditazione allora ci accorgiamo che un po' alla volta diventiamo più propensi a comprendere il prossimo prima di agire. In questo caso le nostre azioni e le nostre reazioni sono inevitabilmente orientate ad "attenuare" i conflitti, ad armonizzare anziché contrastare, a trasformare in positivo le energie negative. Percorrendo questa via, ci accorgiamo che le persone, gradualmente si avvicinano a noi e non ci evitano, che provano piacere a stare in nostra compagnia, lavorare, scherzare, studiare, e allenarsi con noi, perché noi siamo in grado di creare intorno a noi assenza di tensioni. L'automiglioramento è tutto questo, ci porta al punto che non abbiamo bisogno di scontrarci con gli altri, e sempre meno gli altri lo faranno con noi. Nel caso di una aggressione certamente non risponderemo con violenza, ma con calma e serenità, con grande fermezza, ma con serenità e questo lascia una porta aperta all'aggressore che quasi sempre accetta di imboccarla. Se infine così non fosse, allora la tecnica interviene, sarà estremamente efficace perché non disturbata dall'emotività, ma la tecnica che scaturisce dal metodo della pace e dalla serenità è ben diversa da quella che viene espressa dall'aggressività. I nostri maestri parlano spesso di armonia, metterla in pratica nello Shotokai, è il nostro compito. Durante l'allenamento, l'insegnante dovrebbe essere in grado di proporre un lavoro fluido, ben ritmato e chiedere agli allievi di eseguire tecniche e combinazioni con movimenti molto ampi, armonici, decontratti e con una buona respirazione, facendo così riappropriare all'allievo la naturalezza nei movimenti ed una disponibilità ed elasticità mentale. Questo tipo di allenamento fluisce naturalmente e permette all'allievo di aprirsi verso gli altri. L'Allievo riesce a trovare il proprio ritmo e arriva alla fine dell'allenamento senza accorgersene, ma avendo dato molto. Quando invece si obbliga l'allievo ad eseguire tecniche o combinazioni veloci e contratte, movimenti brevi con una respirazione "compressa", allora in questo caso si provoca nell'allievo una chiusura mentale ed un ritmo innaturale, dove la fatica e lo stress diventano l'oggetto del lavoro. Un altro rischio che noi praticanti anziani corriamo, è di concentrare la propria ricerca soltanto su dettagli della pratica, a scapito di tutti gli altri aspetti. Ad esempio si può correre il rischio di passare anni concentrandosi a studiare soltanto aspetti tecnici circoscritti come tsuki, geri, oppure dedicandosi in modo particolare al kumite, kata o alla meditazione trascurando tutto il resto. Purtroppo questo approccio alla pratica è molto limitativo e soprattutto deviante. Per progredire nella via senza deviare bisogna concentrarsi ed allenarsi in tutti gli esercizi della nostra disciplina: taiso, kihon, kumite, kata, midare e mokuso. Bisogna riuscire ad approfondirli tutti, perché tutti insieme, senza trascurarne nemmeno uno, ci insegnano ad affrontare il combattimento vero, ci insegnano ad affrontare la vita. Ignorandone alcuni rischiamo di deviare verso l'aggressività o verso il misticismo perdendo il vero significato e lo spirito vero del budo e dell'heiho. L'insegnante deve essere in grado di mettere in condizioni il praticante di cogliere dello Shotokai tutti i suoi aspetti: la bellezza, l'armonia, l'amore, la coerenza, la durezza, le difficoltà, la severità, il rigore, la forza, la vita e la morte perché questi sono gli aspetti della via e della nostra esistenza. Se tutti questi elementi non fanno parte della pratica, allora è necessario ricondurre la propria ricerca sulla strada giusta ed avere l'umiltà di rimettersi in discussione e approfondire quegli aspetti fino ad allora trascurati. |