| Gli appagati eroi di 
			Pechino (meno  Di Leo, assente), hanno avuto  un evidente calo di 
			tensione e ci hanno dato qualche delusione. Ma nel complesso, 
			un’altra positiva sortita degli azzurri in una soleggiata Grecia.Campionati Europei WAKO di LoutrakiVIVA LA GIOVENTU'Di: Ennio Falsoni
			   Il Peloponneso greco è una serie interminabile di isole  baciate 
			dal mare e se a questo quadretto ci aggiungete anche uno splendido 
			sole e 27 gradi di temperatura nell’ultima settimana di novembre, 
			capirete perché quando siamo partiti  ci abbiamo lasciato un po’ il 
			cuore. Loutraki, ad un’oretta di macchina dalla caotica e 
			cementificata Atene, è stato il piccolo paradiso dove si è consumata 
			l’ultima tappa del frenetico calendario internazionale della WAKO.  
			501 gli atleti, in rappresentanza di 34 nazioni europee, che si sono 
			radunati nella bella cittadina greca per la seconda e ultima parte 
			degli Europei 2010 nel semi e full contact, nella sperimentale 
			kick-light e nelle forme musicali. 
			   Per tutti coloro che erano stati anche a Baku, in Azerbaijan, 
			devo dire che la trasferta greca è stata felice, gradevole, 
			simpatica, come  se fossimo tutti tornati a casa, in un mondo più 
			civilizzato, più noto e più sicuro. Niente problemi 
			politico-sportivi, niente tensioni, piacevolissimo il Poseidon  
			resort  in cui erano alloggiate le squadre in mezzo a una bella 
			natura con fantastica vista sul mare, insomma questi ultimi Europei 
			sono scorsi lisci come un olio. L’unico rammarico, se così si può 
			chiamare, ma non tanto per me ma proprio per loro, è rappresentato 
			dagli insuccessi di 4 su 5 medaglie d’oro che avevamo conquistato 
			brillantemente  a Pechino. 
			   Assente Gregorio Di Leo per impegni di lavoro (ma anche perché 
			evidentemente si sentiva demotivato e scarico psicologicamente), chi 
			per un verso chi per un altro, insomma tutti gli altri non hanno 
			bissato il clamoroso risultato cinese. E questo ha lasciato un po’ 
			di amaro in bocca. E parliamone subito allora, così ci togliamo il 
			dente che duole. 
			   Francamente, prima della partenza, avevo avuto delle avvisaglie 
			che in Grecia le cose nel semi contact non sarebbero andate per il 
			verso giusto. Detto di Di Leo (ed era di per sé una perdita 
			importante) , ci si è messa anche la sfortuna. A tre giorni dalla 
			partenza, Luisa Gullotti di Palermo si incrinava ulna e radio 
			durante un allenamento in palestra e non avrebbe partecipato nemmeno 
			lei! Tanto per gradire, 2 medaglie d’oro di Pechino su 5 non 
			sarebbero potuto scendere in lizza. Ne restavano 3. 
			   Ma al primo turno, Andrea Lucchese (sul quale avrei scommesso ad 
			occhi chiusi per una conferma in terra di Grecia) va a pescare un 
			cliente scomodo come il giovane inglese  Robbie Hughes che lo ha 
			messo fuori! Mamma mia , mi sono detto, qui va a finire male. E così 
			è stato, anche se parzialmente.  
			   Domenico De Marco è uno splendido atleta, veloce, riflessi 
			pronti,  in possesso di combinazioni spettacolari, dotato di grande 
			elasticità, un forte attaccante  con qualche lacuna difensiva, ha 
			battuto tutti sino ad issarsi alla finalissima dove ad attenderlo 
			c’era il solito giovane ungherese Richard Veres che lui aveva già 
			battuto non solo in diverse Coppe del Mondo ma anche a Pechino. 
			Piccolotto e tracagnotto, Veres ha un tempo formidabile e gambe 
			potentissime. Era naturalmente col baricentro più basso di quello di 
			Mimmo che ha fatto l’errore di attaccarlo in continuazione di calcio 
			soprattutto , e così l’altro ha avuto la chance di infilarsi in 
			contro-tempo nei varchi e a batterlo. Peccato, anche perché Mimmo 
			c’è rimasto male. 
			   E toccava a Gloria De Bei, dominatrice incontrastata nei 60 chili 
			da anni. Ma  quando si raggiunge un risultato grande come l’Everest 
			in una carriera, ritengo che ci sia un inevitabile calo di tensione 
			e di motivazione soprattutto per raggiungere un traguardo inferiore. 
			E, a mio avviso, è quello che è successo ai nostri bravi atleti: si 
			sono trovati psicologicamente scarichi, privi di quella voglia di 
			vincere, di quella furente determinazione che è  tipica di chi si 
			impone e trionfa. Gloria è stata brava. Ha sofferto in apertura di 
			torneo, ma ha sempre passato il turno. In finale trovava però una 
			giovane norvegese, più alta e longilinei di lei, Ida Abrahamsen 
			allenata dal bravissimo coach italiano Gianpaolo Calajò, e Gloria si 
			è smarrita. Ha perso il timing dei suoi blitz, era fuori tempo e 
			risultava poco convincente in attacco. Insomma ha perso anche lei e 
			sembrava ormai scritto che doveva essere così.  
			   Subito dopo però, mentre teneva in braccio il suo bellissimo 
			bambino di 1 anno e ancora con  le lacrime agli occhi, le ho detto: 
			“consolati: hai tra le braccia la tua  medaglia più bella” – e mi è 
			sembrato subito che la forte tensione che l’aveva pervasa  stesse 
			rallentando. 
			   Sull’onda di questa piccola debacle, anche il campione del mondo 
			uscente, il napoletano Manuel Esposito perdeva seccamente in 
			semifinale con un altro giovane ungherese, Laszlo Varga (da 
			segnalare che l’età media degli atleti ungheresi è intorno ai 19 
			anni - tanto per confermare che ormai i giovani  che stanno 
			dominando le nostre gare, sono gli stessi juniores di ieri appena 
			arrivati tra i senior - !). 
			   A difendere   la bandiera della “vecchia guardia”, ci ha pensato 
			però un veterano che a 43 anni si è preso il lusso di andare in 
			finale: parlo di Andrea Ongaro che non finisce di stupirmi per la 
			caparbietà e la passione che mette nel suo impegno verso la 
			kickboxing. Nei supermassimi, aveva la vittoria finale alla sua 
			portata perché l’avversario, l’irlandese Darragh Gheoghegan, era 
			battibilissimo. Invece Andrea, proprio nel match più importante, ha 
			sentito la tensione e non ha saputo gestirla, come poi lui stesso ha 
			ammesso. “E’ incredibile – mi ha detto -, so quello che dovrei fare 
			ma non ci riesco…”. Peccato anche per lui, perché si sarebbe 
			meritato la medaglia più importante. 
			   Ma se la vecchia guardia ci ha dato risultati inferiori alle 
			aspettative, ci siamo subito rifatti il palato con la nouvelle vague, 
			rappresentata – anche per noi -, da quegli stessi giovani che 
			dominavano ieri le gare juniores. Nei 50 chili donne infatti, 
			abbiamo avuto la straordinaria vittoria di un’altra giovane allieva 
			di Giorgio Lico, Giulia Cavallaro che ha dominato in lungo e in 
			largo nella sua categoria, battendo seccamente in finale l’inglese 
			Sharon Gill (19 titoli io ho vinto coi miei allievi – mi   ricordava 
			orgogliosamente il maestro  calabrese -, contro 13 degli allievi di 
			Gianni Di Bernardo. Il numero uno sono!).  
			   Il secondo oro ci è venuto da un giovane napoletano di 94 chili  
			(della Winner Team di Di Bernardo), Paolo Niceforo che sembrava 
			chiuso dal pronostico perché andava a sbattere contro un altro 
			formidabile ungherese: David Zelenai. Ma Paolo è stato incredibile 
			per tenacia (anche quando le cose si mettevano male). Pensate che 
			proprio verso il finale di gara (3 riprese di 2 minuti), è riuscito 
			a consolidare il suo risicato vantaggio piazzando un ottimo calcio 
			al volto dell’altissimo ungherese! Viva la gioventù! 
			   Il bottino italiano si rimpinguava anche con le medaglie di 
			bronzo della piacentina Erika Boselli, allieva di Gianfranco Rizzi, 
			e del napoletano Neri Stella della Winner  Team di Di Bernardo  , 
			come Manuel Esposito. 
			   Chi sperava dunque in una conferma ai vertici del semi contact 
			europeo, si dovrà ricredere e rimboccare le maniche. Un po’ come 
			Mourinho, tecnico del Real Madrid che dopo aver preso 5 gol dal 
			Barcellona ha detto: “L’unica cosa che occorre fare, è tornare 
			subito ad allenarsi di più”. Quello che sicuramente faranno i nostri 
			ragazzi. 
			   Il full contact italiano aveva toccato il fondo ai Mondiali di 
			Lignano Sabbiadoro, dove nessun azzurro era finito in zona medaglia 
			(nelle categorie prescelte) , tanto è vero che a Pechino l’Italia 
			non aveva alcun rappresentante. I tecnici Massimo Liberati e Donato 
			Milano, veterani di mille battaglie, si sono messi di buzzo buono, 
			hanno tirato giù la testa e si sono messi a pedalare. Liberati poi 
			ha avuto la brillante idea di organizzare la selezione della squadra 
			il 23 ottobre scorso, nell’ambito di un bel gala che aveva messo 
			insieme al tenda Strisce di Roma. Ebbene, quest’anno gli azzurri 
			hanno portato a casa ben 7 medaglie, di cui 1 oro, con la 
			formidabile Valeria Calabrese e 2 argenti. 
			   Valeria, sempre ottimamente allenata da Riccardo Wagner, è ormai 
			una sicurezza sia che si cimenti nel light contact che nel full 
			contact. Poiché pratica anche pugilato (dove primeggia nella sua 
			categoria), ha acquisito quella sicurezza nei suoi mezzi che le 
			consente di battere sempre le sue avversarie. Mancina, mette in 
			difficoltà le avversarie perché sa variare gli schemi, sa anticipare 
			come sa andare all’attacco in controtempo, è ottima sia di calcio 
			che di pugno: e chi la può fermare? In più, anche se taciturna, ha 
			un carattere di ferro. Davvero brava Valeria: sei formidabile! 
			   Ivan Sciolla, nei 51 chili, è atleta poliedrico, capace di 
			passare dalla low-kick (dove anche a Baku portò a casa l’argento) al 
			full contact come sappiamo. Ha sempre avuto eccellenti risultati, ma 
			dopo aver vinto sul polacco Peryt Wojciech in semifinale, ha perso 
			ai punti contro il russo Viacheslav kanaev che già lo aveva battuto 
			in passato, quindi nessuna recriminazione, se non che Ivan non mi è 
			sembrato in palla. Non dev’essere certamente facile passare da una 
			disciplina all’altra, perché cambia la distanza, cambiano gli 
			automatismi e adattarcisi è complicato. 
			   L’argento più bello, a mio avviso ovviamente, è quello del 
			pugliese Giuseppe Di Cuia, un giovane atleta allievo di Biagio 
			Tralli (della scuola di Donato Milano dunque) che nei 63,500 ha 
			messo in riga tutti dall’alto di ottimo fondo atletico, pregevoli 
			combinazioni, bella scelta di tempo e grande carattere. Peccato che 
			anche lui sia incappato in finale contro il russo di turno, 
			Zalimkhan Aliev, che lo ha battuto d’un soffio. Ma Giuseppe è uscito 
			a testa alta dal confronto  e si è giocato la vittoria sino 
			all’ultimo: solo un paio di punti lo dividevano dall’avversario.  
			   Ho  apprezzato anche le prestazioni del monzese Roberto 
			Pizzagalli che quasi non riconoscevo tanto era magro e tirato. Lui 
			che ha militato in passato nei 63 e poi nei 60 chili, era infatti 
			sceso nei 57 dove le sue pregevoli tecniche di calcio e un arsenale 
			pugilistico migliorato, gli aveva permesso di issarsi sino alla 
			semifinale. Ma qui ha perduto, anche se di misura con  un altro 
			forte russo (che poi vincerà) Alexander Shamray. 
			   La Kick-light (che è light contact con la possibilità di 
			attaccare le cosce dell’avversario coi calci in linea bassa), è una 
			nuova disciplina che abbiamo inserito nei nostri programmi al posto 
			dell’aero-kickboxing a partire dallo  scorso anno. Devo francamente 
			dire che sta avendo un notevole successo e sicuramente  diventerà 
			ufficiale  a partire dall’anno prossimo. Ebbene, anche qui abbiamo 
			avuto dei risultati brillanti. Il gruppo di atleti che Bruno 
			Campiglia  ha selezionato, mi è piaciuto per affiatamento oltre che 
			per le positive prestazioni del gruppo in generale. Su tutti, ha 
			primeggiato il veneto Paolo Marangon, che alla sua prima uscita 
			internazionale nei 79 chili, ha conquistato l’oro con una 
			prestazione maiuscola ‘perché in finale ha avuto la meglio sul 
			francese Madiere Kamara che viene dalla low-kick. Agile, molto mobile sulle gambe, Paolo ha interpretato al meglio 
			la Kick-light  e ci ha regalato l’unico oro nella specialità.  
			   In generale va detto che i  partecipanti a questo campionato 
			sperimentale  (alcuni di loro, maturi atleti e arbitri, come Daniel 
			Marsiglia, 37 anni, medaglia di bronzo; Stefano Paone, allievo di 
			Riccardo Bergamini di Pescara che ha portato a casa un bronzo nei 74 
			chili; Simone Spotorno (57 chili)  e Salvatore Messina, nei 
			supermassimi,  allenato da Claudio Alberton, medaglia d’argento!; ), 
			si sono proprio divertiti e questo è il segreto del loro successo. 
			Quando ti diverti, quando ti spogli della voglia di vincere a tutti 
			i costi, le tecniche sono più fluide, sembra che tu sia più 
			presente, vedi prima le tecniche dell’avversario, insomma sei nella 
			condizione psicologica ottimale per ben figurare. 
			   Hanno ben figurato anche le “girls”  di Kick-light dove l’Italia 
			ha conquistato l’argento con Ismaila Muciaccia nei +70 chili e 2  
			bronzi con la sarda  Maria Antonietta Lovicu(60) e Federica Pellino 
			(65). 
			   Certo, gli atleti partecipanti in questa nuova disciplina non 
			erano tanti quanto nel  semi e nel full, tuttavia la presenza del 
			campione del mondo russo Maxim Aysin , che ha largamente dominato 
			nei 63 chili, la dice lunga sull’interesse che l’ultima entrata in 
			casa WAKO sta suscitando tra tutti gli atleti. 
			   Bel campionato d’Europa dunque,   dal quale sono venuti 
			indicazioni preziose per il nostro movimento: per chi ancora non se 
			ne fosse accorto, l’età media dei nuovi campioni si è notevolmente 
			abbassata. La nuove generazioni prenderanno presto il posto delle 
			vecchie. C’è un ricambio generazionale in corso e io trovo tutto ciò 
			del tutto naturale. Ragazzi, è la vita che fa il suo ciclo. E guai a 
			contrastarla 
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