| Nello stupendo palasport 
			di Budapest ci siamo fidati, ma non fidarsi sarebbe stato meglio. 
			Niente di più vero: è  ormai risaputo che un qualunque evento può 
			essere rovinato da cattivi arbitraggi. Purtroppo è successo ancora. 
			Facciamo  però “mea culpa”. Fidarsi è bene, ma non fidarsi…Di: Ennio FalsoniIl lettore che ha seguito i nostri articoli, sa che l’Ungheria, 
			pur essendo un piccolo stato con una popolazione pari a quella della 
			Lombardia, vanta una tradizione sportiva davvero invidiabile in 
			tantissimi sport, dal calcio al nuoto, dalla scherma al pugilato, 
			per finire con la Kickboxing. Nella specialità del “semi contact”, 
			gli ungheresi sono ai vertici del movimento WAKO da tre anni ormai, 
			grazie a un gruppo compatto di giovanissimi di straordinaria 
			levatura tecnica che dominano in tutte le competizioni, quelli della 
			Kyrali School.  
			 Non sono altrettanto forti negli sport da ring, però, salvo 
			qualche eccezione. Ho accolto così con grande soddisfazione l’invito 
			che mi è venuto dall’amico Richard Leyrer, il forte presidente della 
			Federazione ungherese, di organizzare un incontro a squadre  tra le 
			nostre due nazioni nella specialità del K1 Rules, incontro che ha 
			avuto luogo nell’ambito di un’altra grande classica ungherese, 
			quella promossa da Imre Kozak e Vilmos Pap. I due, sempre sotto 
			l’egida della Federazione, organizzano da due anni ormai un grande 
			Gala chiamato “ K1 Collision”, che lo scorso anno ha attirato nel 
			bellissimo e moderno impianto della capitale, ben 8.000 spettatori. 
			Per intenderci, K1 Collision è del livello di Oktagon, il miglior 
			Gala italiano prodotto da Carlo Di Blasi ormai da 17 anni. Ossia è 
			prodotto in modo assolutamente professionale, con enorme passerella 
			per l’uscita degli atleti che direttamente vanno poi sul ring, luci 
			e musiche da concerto rock, mega screen sul fondo, 8 telecamere a 
			riprendere tutti gli incontri, camion di regia mobile con 2 registi, 
			insomma un prodotto assolutamente di classe, con un bel parterre di 
			notabili della città, di uomini politici e dello spettacolo.  
			 Incastonato in questo bel progetto, il nostro incontro a squadre 
			che prevedeva 5 incontri diretti, 5 match sulla distanza di 3 
			riprese di 2 minuti. Ma, come avviene nei tornei Europei e Mondiali 
			della WAKO,  su questa corta distanza gli atleti  danno il massimo 
			proprio perché sanno di avere poco tempo a disposizione. 
			Solitamente, in questo tipo di incontri, gli atleti escono dagli 
			angoli come dai blocchi di partenza nelle gare di corsa ed è subito 
			lotta, scontro di tecniche velocissime, di potenza, di 
			determinazione. C’era anche una ragione precisa perché nella serata 
			ci fosse questo incontro a squadre. Da anni, insieme ad alcuni miei 
			colleghi del Direttivo, stiamo cercando di trovare un format, una 
			formula, che possa essere televisivamente interessante. Ritengo che 
			costruire una serata di spettacolo con degli incontri validi per 
			titoli mondiali o europei sia più interessante di ogni altra 
			formula, però puntare su degli individui ha sempre il limite che se 
			non hai a disposizione un campione conosciuto in quella città, 
			rischi di non fare cassetta. Abbiamo allora pensato ad una serata 
			dove, insieme ad alcuni incontri per dei titoli “Pro” o un Torneo a 
			4 (almeno all’estero, visto che i tornei a 8 stanno per essere 
			vietati un po’ ovunque, almeno nei paesi cosiddetti “civili”), ci 
			fosse un incontro a squadre tra due nazionali. Le nazionali possono 
			anche non contenere un grande e noto campione, ma il fatto stesso 
			che un  qualunque pubblico si identifichi con la sua nazionale, può 
			creare certamente un interesse mediatico. La nostra idea poi, 
			sarebbe quella di lanciare una sorta di campionato europeo a 
			squadre. Avremmo almeno 16 squadre di 5 elementi ciascuna e una 
			volta effettuato teste di serie e sorteggi, dovremmo trovare dei 
			promotori in grado di ospitarci. Tutto il circuito si chiamerà 
			“Champions’ League”, sulla falsariga dei tornei  europei di calcio. 
			Stiamo lavorando per garantirci le televisioni e poi si partirà. Pertanto questo Ungheria-Italia di K1 Rules  era 
			un’amichevole, tanto per saggiare il terreno, per vedere come 
			funziona a livello di appeal per il pubblico. Siamo quindi partiti 
			fiduciosi, talmente fiduciosi che abbiamo persino rinunciato a 
			portarci un giudice, come sempre succede  nel caso di incontro per 
			titoli “pro”. Claudio Alberton e Giorgio Iannelli, i nostri due 
			dittì della nazionale hanno  scelto per questa trasferta Tiziano 
			Mascoli, Paolo Reverberi, Damiano Poletti, Alessandro Orella e Marco 
			Santi. A questo gruppo, pagandosi le spese di tasca propria,  si è 
			aggiunto l’amico di Iannelli, Aldo Re di Casale Monferrato che 
			comunque ha dato una mano ai tecnici all’angolo.
  All’aeroporto, ho distribuito a ciascuno degli 
			atleti il programma dettagliato del loro soggiorno a Budapest. Gli 
			organizzatori aveva indicato proprio tutto: dall’ora e il luogo del 
			peso, alla scaletta dei match, dall’orario di partenza  del pullman 
			per il party dopo la gara, a quella  per l’aeroporto. In più hanno 
			pagato gli atleti prima della gara, puntualmente. L’albergo scelto 
			dagli organizzatori, l’Hotel Arena, 4 stelle con piscina e centro 
			fitness, era proprio a due passi dal palazzo dello sport, enorme e 
			nuovo, di Budapest. Insomma, un gran bel inizio, professionale, come 
			se ne vedono pochi in giro. La trasferta non poteva cominciare sotto 
			migliori auspici. Ma non avevamo fatto i conti coi giudici 
			ungheresi. Francamente, come presidente WAKO, mi spiace di dover 
			tirare in ballo i giudici , quegli stessi giudici che  poi mi 
			ritrovo ai Campionati d’Europa e del Mondo. Ma devo farlo per onor 
			di cronaca e per dare a Cesare quello che è di Cesare. Va anche 
			detto che, parlando coi 2 dittì nostrani, si sentiva un po’ la 
			necessità di avere un giudice, ma sia Alberton che Iannelli mi 
			ribadivano che preferivano stare all’angolo dei loro atleti. Abbiamo 
			così peccato due volte. 
  Tiziano Mascoli aveva di fronte Oli Mark , è partito bene, 
			tranquillo, ha messo in luce un paio di buone combinazioni poi, 
			improvvisamente, a manco 1 minuto dall’inizio della prima ripresa, 
			l’arbitro centrale ferma improvvisamente il combattimento. Resto 
			stupito. Che è successo ? – dico tra me. L’arbitro centrale chiama 
			sul ring il medico di turno. Mi accorgo che  Tiziano ha una lunga 
			ferita alla tibia. Gli si vedeva l’osso, era una brutta ferita che 
			probabilmente si è procurato in uno scontro di tibia. Non se n’era 
			manco accorto. Il   medico, giustamente, ferma l’incontro e Tiziano 
			è veramente  disperato, ma il match finiva lì. A mio avviso, si 
			doveva dare il “no contest” in quel caso, ma i giudici hanno pensato 
			bene di assegnare la vittoria all’Ungheria. 1-0. Bel inizio! Toccava 
			a Paolo Reverberi, il nostro peso massimo, che affrontava Zentai 
			Maté, un lungagnone di quasi 2 metri per 107 chili di peso, 10 più 
			del nostro azzurro. Ma Paolo non si è fatto intimidire. Sapendo di 
			non dover lasciargli la lunga distanza, è sempre andato sotto 
			mettendo in difficoltà l’ungherese sia di low-kick che di pugno. Ma 
			allo scadere esatto della fine della prima ripresa, l’azzurro 
			incappa in un destro che lo manda al tappeto. L’arbitro centrale lo 
			conta e dopo che ha alzato le braccia, lo rimanda all’angolo. 
			Peccato. Nella seconda ripresa l’ungherese, ringalluzzito dal 
			knock-down, si fa più intraprendente, e Paolo lo contiene. Ma nella 
			terza, è l’italiano che ritorno al centro del ring e a prendere 
			l’iniziativa. Insomma, il match è equilibrato e tutti (almeno quelli 
			al mio tavolo) sono concordi nel dire che senza quell’atterramento 
			l’italiano  avrebbe potuto vincere. Invece è dato  perdente, e siamo 
			2-0. La strada si è fatta in salita. Damiano Poletti è un giovane 
			che compare in una selezione azzurra per la prima volta, non ha 
			grande esperienza internazionale e credo che questo  spieghi la sua 
			prestazione un po’ mediocre. E’ il primo incontro dove non possiamo 
			proprio recriminare nulla. E Siamo 3-0.  
			 Ma dovevano scendere in campo i nostri atleti più esperti, e 
			francamente non vedevo l’ora che l’Italia portasse a casa una 
			vittoria. Alessandro Orella è campione  europeo Wako-Pro, è un 
			ottimo atleta e ha grande esperienza, soprattutto come “low-kicker”. 
			Ma anche nel K1 Rules non se la cava male per nulla. Aveva però di 
			fronte nientemeno che il campione d’Europa  Wako di low-kick, 
			Gorbics Gabor che è anche ottimo pugile. Gabor parte infatti 
			fortissimo e comincia a sparare i suoi sventoloni. Il pubblico si è 
			subito scaldato e lo incitava a gran voce. Temevo il peggio. Invece 
			Alessandro è stato intelligentissimo. Ai pugni di Gabor, che per lo 
			più finivano sui guantoni o sulle braccia, rispondeva con ottimi 
			low-kick. Era sgusciante, evitava di finire in clinch e di fare a 
			cazzotti, colpiva ripetutamente gli arti inferiori dell’avversario. 
			Insomma il match, soprattutto nella terza ripresa, era un refrain: 
			l’ungherese che cercava di colpire di pugno l’italiano, e Alessandro 
			che invece andava a segno di calcio. Alla fine, mi girai verso 
			l’amico Leyrer, presidente della Federazione ungherese, e indicavo 
			nell’italiano il sicuro vincitore. Leyrer aveva la faccia scura. 
			Invece, udite udite, i giudici la combinano grossa: 2-1 vince Gabor! 
			Quasi mi incazzavo, ma poi  ho dovuto fare buon viso a cattiva 
			sorte. Confermavo la mia tesi ai tecnici e a Orella appena scesi dal 
			ring. Avevano anche loro le facce lunghe. Sul 4-0, tutte le nostre 
			speranze di vittoria erano ormai poste solo su Marco Santi, l’atleta 
			forse più esperto del gruppetto. Contro di lui, un giovane alto e 
			magro di nome Busai Gergely. Non starò a raccontarvi l’incontro, ma 
			solo che dal punto di vista tecnico Marco è stato superiore in tutto 
			all’avversario. Anche qui, avrei  giurato sulla sua vittoria, ma 
			ancora una volta, quei deficienti di giudici ungheresi, partigiani e 
			col paraocchi, hanno dato la vittoria al loro atleta! Ero veramente 
			in imbarazzo a questo punto, e potete immaginare le occhiatacce che 
			ci siamo scambiati noi italiani! Ma ormai, la frittata era fatta. 
			L’esperimento, da un certo punti di vista era perfettamente 
			riuscito.  
			 Quello però che abbiamo capito è che, se si vorrà fare sul serio 
			in futuro la Champions’ League a squadre, per essere credibili,  ci 
			vorranno arbitri e giudici competenti e soprattutto neutri. Insomma, 
			ci siamo fidati una volta, ma secondo il vecchio adagio… non fidarsi 
			sarà  sempre meglio. |