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LA MENTEINTRODUZIONENel corso di Kung Fu per anziani, ed in particolare nello studio delle tecniche di Lung Chuan Pai superiori, viene introdotto il termine di non-mente o mente vuota. I concetti che si celano dietro questi termini non sono esprimibili con parole univoche che ne rendano pieno significato. È quindi necessario affrontare il discorso più in generale sull’interazione mente corpo nelle arti marziali orientali, rapportandolo ai nostri modi di pensare. In questo lavoro non voglio parlare di potere della mente ma semplicemente di presa di coscienza delle proprie capacità cerebrali, ed indirizzarle verso un utilizzo positivo. Gli antichi filosofi, saggi e maestri orientali avevano già compreso in parte questo mistero, andando a definire alcuni insegnamenti per un utilizzo migliore della mente, per una elevazione dello spirito, in armonia con il proprio corpo. La prima parte di questi appunti è relativa ad alcune citazioni dai testi antichi di filosofia e discipline marziali. La seconda parte riporta invece valutazioni alla luce delle moderne conoscenze sul funzionamento della mente. Questo lavoro vuole essere una traccia per una discussione, su concetti più elevati, per gli allievi anziani, meglio se già a conoscenza delle interazioni esistenti tra mente e corpo. Per una migliore comprensione degli argomenti trattati è bene conoscere in linee generali i fondamenti della fisiologia cinese, ed in particolare i concetti di Ch’i, energia interiore, e quelli di meridiani, ovvero i canali ove scorre questa energia. TESTI ANTICHIAlcuni stili di Kung Fu hanno elaborato negli anni una teoria molto affascinante sull’aspetto mentale dell’arte marziale, in particolare nell’esecuzione e nell’applicazione delle tecniche. Queste teorie sono generalmente tipiche degli stili cosiddetti interni o morbidi. Fra questi il Tai Chi Chuan, forse il più famoso stile interno di Kung Fu, ha dato particolare applicazione ai questi aspetti, abbracciando la filosofia taoista. Di seguito vengono esposti alcuni di questi concetti tratti dai classici della filosofia orientale e dai trattati sul Tai Chi Chuan ed altre arti marziali, e specificatamente per quanto riguarda la predisposizione della mente contro un’aggressore, nell’attimo prima dell’azione. LO STATO DELLA MENTELe parole cinesi Hsin e I sono spesso tradotte con il termine “mente”. Hsin può voler dire cuore oppure mente, in quanto anticamente pensavano che il centro intellettivo fosse nel cuore. Con il termine I si indica invece il pensiero, l’intenzione, il pensiero intenzionale. Un’altra parola cinese molto interessante è il termine Hsu che può indicare sia modesto sia vuoto. Entrambi questi significati sono importanti nelle arti marziali tradizionali. In essa la modestia è una virtù di fondamentale importanza senza la quale non è possibile un reale progresso. [7] Nei testi classici troviamo spesso le espressioni “Dovete essere vuoti”, oppure “Dovete avere la mente vuota”. Il maestro Li I Yu nel suo scritto Cinque parole segrete ci spiega perchè la mente (Hsin) deve essere calma (Ching), e precisamente ce lo espone con queste parole: “Se la mente non è calma non è possibile concentrarsi. Allora, sia che alziamo le mani, sia che ci muoviamo avanti e indietro, a sinistra o a destra, agiremo confusamente. È essenziale dunque avere la mente tranquilla”. [7] La mente deve essere vuota (Hsu) cioè priva di pensieri estranei, concentrata ed agile (Ling) ossia acuta, adattabile, pronta. La mente tramite il pensiero intenzionale (I), deve guidare il flusso del Ch’i e per un perfetto bilanciamento psicofisico è essenziale focalizzare l’attenzione non solo nel Tan T’ien , ma anche su Shen che viene attivato alla sommità del capo; Il trattato attribuito a Wu Yu Hsiang dice: “L’attenzione di tutto l’essere va fissata non solo sul Ch’i, ma anche su Shen”. Sia la modestia sia il vuoto mentale sono prerequisiti indispensabili per attirare Shen. Al vero vuoto mentale, lo stato meditativo più elevato, si può arrivare solo tramite una raffinazione di Shen. Secondo i taoisti, la trasformazione di Shen in Hsu (vuoto, modesto) ha luogo nel Tan T’ien superiore. Grazie a Shen infatti la mente è in grado di ottenere quello stato di perfetta concentrazione che la rende stabile, focalizzata, e che è la condizione necessaria perchè essa possa in seguito espandersi in un vero e proprio stato di supercoscienza. Chi lo raggiunge, pur rimanendo presente, arriva a perdere la consapevolezza del suo io. [7] Il pensiero intenzionale, per guidare bene il Ch’i deve sempre, in un certo senso, precederlo; ciò significa che la nostra attenzione deve anticipare il flusso dell’energia per dirigerla nella direzione giusta. [7] I maestri cinesi sono soliti dire: “I I Hsing Ch’i”, ossia tramite il pensiero il Ch’i si muove, oppure “I Tao Ch’i Tao”, che significa dove va il pensiero va il Ch’i. [7] In un trattato classico attribuito a Wu Yu Hsiang possiamo leggere: “Il pensiero e il Ch’i devono essere ben coordinati”. Anche Yang Ch’eng Fu nei suoi famosi Dieci Principi Fondamentali dice: “Se invece di usare la forza muscolare usiamo il pensiero, potremo far andare il Ch’i fin dove è arrivato il pensiero”. [7] Il grande filosofo taoista Chuang Tsu ha scritto a questo proposito: “Il vero saggio non ha io”. La mente diventa come uno specchio lucente. Nulla vi è dentro, nulla la offusca, ed essa riflette ogni cosa. Non è allora più necessario l’intervento del pensiero per guidare il Ch’i, che ormai fluisce da solo nella direzione giusta. Nel trattato attribuito a Wu Yu Hsiang si legge: “Il corpo deve rimanere ben diritto e rilassato in modo da poter rispondere direttamente ad attacchi provenienti dalla otto direzioni”. [7] A tal proposito Wu Yu Hsiang ci dice anche: “Dovete apparire rilassati, ma non essere veramente rilassati”. [7] Rilassato non vuol dire essere completamente abbandonato, rilasciati. Quando ci rilassiamo dobbiamo liberarci di ogni rigidità (Kang) di ogni forza dura, ma dobbiamo contemporaneamente far circolare in abbondanza ciò che conferisce al nostro corpo la vera forza: il Ch’i. [7] La discesa del Ch’i nel Tan T’ien è strettamente legata al rilassamento. In un corpo rigido infatti il Ch’i non può scendere e la respirazione è toracica, mentre in un corpo rilassato il Ch’i è automaticamente nel Tan T’ien e la respirazione è diaframmatica. Risulta evidente che allora il processo di rilassamento è facilitato dalla regolazione della respirazione, facendola diventare profonda e regolare . È l’energia interna circolante nel nostro corpo rilassato che ci permette, se necessario, di raggiungere istantaneamente il massimo della durezza. “Estrema morbidezza porta a estrema durezza” come riporta un trattato attribuito a Wu Yu Hsiang. Essere morbidi (Mien) significa anche essere cedevoli (Tsou). Nel Trattato Classico di Tai Chi Chuan attribuito a Wang Tsung Yeuh possiamo leggere infatti: “Se l’avversario è duro, io sono morbido, ecco cosa è cedere” È ovvio che I scaturisce da Hsin ed è proprio I che muove il Ch’i nel nostro corpo. [7] È importante ricordare anche il principio delle tre armonie
Quando avremo svuotato la mente, tutto ciò che prima era dentro di essa si troverà nel nostro corpo. La mente non avrà allora più bisogno di pensare nè alle forme nè ai principi, mentre il corpo agirà in maniera inconscia senza violare nè la forma nè alcun principio e il Ch’i andrà da solo nella direzione giusta senza l’intervento del pensiero intenzionale. Nella strategia del Tai Chi Chuan il principio fondamentale è racchiuso nella citazione: “Dimenticare se stessi e seguire l’avversario” stando a significare di non imporre la nostra azione all’avversario, ma è preferibile adattarsi a quella dell’avversario, in accordo con il principio taoista del Wu-Wei, ossia del non agire. Dimenticando noi stessi e seguendo l’avversario arriveremo a conoscere sia noi stessi sia il nostro aggressore. Saremo allora imbattibili perchè: “Se conosci te stesso e conosci il tuo avversario in cento battaglie non sarai mai in pericolo” UNITA DI CORPO E MENTEAll’inizio l’ostacolo più difficile è apprendere il movimento, memorizzare lo schema motorio. Esso richiede una pratica quotidiana, perchè sappiamo che il corpo impara facendo. Ad un certo momento, diverso per ciascuno di noi, l’esecuzione del movimento diventa familiare, naturale e l’apprendimento risulta più facile. Il praticante non esegue più volontariamente le tecniche; egli inoltre ha la sensazione che la sua energia sia diventata una sola cosa con l’energia dell’universo e di essersi unificato al Tao: l’uomo e la natura sono ora fusi insieme. Ecco alcune similitudini spesso citate nei testi antichi per descrivere la sensazione dell’unità di corpo e mente: Il corpo deve essere così agile e leggero da percepire la piuma che vi si posi sopra e da mettersi in moto ogni qualvolta vi si appoggi una mosca. Mantenete il corpo in equilibrio come un falco in procinto di avventarsi sul coniglio. Mantenete lo spirito all’erta come il gatto in procinto di sorprendere il topo. Nella quiete siate immobili come la montagna. Nel movimento siate come la corrente di un fiume. Ricercate la linea retta nella curva. È stato detto che se l’avversario non si muove, voi non dovete muovervi; se egli compie il più piccolo spostamento voi lo dovete precedere. È stato anche detto che prima viene la mente e poi il corpo. Mantenete lo spirito calmo e tranquillo e il corpo quieto. La caratteristica del corpo, degli arti e del bacino è quella di agire unitariamente. La mente è mantenuta in uno stato di allerta e di adesione alle cose preparata in ogni momento a rilasciare energia, come una feccia pronta a partire da un arco. L’azione deve scaturire rapida come un improvviso colpo di fulmine. Ci si deve muovere con l’intenzione diretta come se nessuno potesse frapporsi, ovvero come un aquila che scende in picchiata per catturare la sua preda. La posizione di partenza eretta, testa collo e busto allineati perpendicolari alla terra, come sospeso dalla sommità del capo, ma rilassati il più possibile, attraverso tutte le articolazioni, così che il suo peso affondi verso il basso passando per le gambe e giungendo ai piedi. Evitare ogni tensione nervosa o muscolare e ogni espressione facciale contratta. Affondare il corpo, porre le radici: il corpo impara di nuovo ad entrare in connessione con la terra e può assumere una posizione rilassata e naturale. Svuotare la mente dai pensieri e il risultato sarà un senso di serenità rappresentante lo stato di Wu-Chi . L’idea del movimento da questa posizione si forma nel primissimo istante di cambiamento, quando tutto è ancora immobile sia dal punto di vista fisico sia da quello mentale. Questo passaggio dalla immobilità esterna alla disponibilità al movimento viene detto: andare dal wu-chi al tai-chi. Il movimento ha inizio nell’immobilità: l’incarnazione fisica del principio del wu-wei, non-fare, non-agire. Esso vuol dire che il movimento ha origine non dalla forza muscolare, bensì dall’energia interiore che è prodotta dalla respirazione e dal pensiero. I movimenti crescono dall’interno verso l’esterno, non comportano sforzo e sono radicalmente diversi dal tipo di moto fisico che facciamo nella vita di tutti i giorni. La mente tranquilla è il vero segreto per la successiva azione. Senza una mente calma, la concentrazione è impossibile e i movimenti divengono privi di finalità. L’azione si cela dietro l’apparente quiete, come il gatto che aspetta immobile davanti alla tana di un topo, pronto a balzare nell’istante stesso in cui il topo esce fuori. Perciò si dovrebbe essere totalmente concentrati, senza usare una forza esteriore. Rispetto ai movimenti delle forme dure, nelle quali è previsto un inizio ed una fine su ogni movimento, le forme morbide presentano il vantaggio che la loro esecuzione conduce alla libertà. Corpo e mente, almeno per un attimo sono tutt’uno. Un corpo agile e sciolto si accompagna ad una maggiore elasticità mentale e duttilità emotiva. La vera comprensione non è solo intellettuale, ma anche fisica ed emotiva. Dobbiamo dunque capire con la mente, con il corpo e capire con il cuore. Comprendere con la mente vuol dire rendersi conto del significato di ogni tecnica e di ogni principio, significa anche utilizzare il pensiero durante la pratica e raggiungere l’unificazione fra mente e tecnica. Comprendere con il corpo significa allenarsi con assiduità sino a che il corpo abbia perfettamente assimilato tutte le tecniche, significa pure servirsi dei sensi e delle sensazioni fisiche durante la pratica. Comprendere con il cuore significa amare ciò che stiamo facendo e praticarlo emotivamente. Una mente conscia dell’esecuzione di ogni tecnica è il principio dell’armonia della mente con la tecnica, uno degli aspetti della cosiddetta unione fra mente e corpo, ovvero interno ed esterno. La mente deve essere perfettamente sveglia, concentrata e ben conscia di ogni tecnica, di ogni movimento e del continuo alternarsi di Yin e Yang, di vuoto e pieno, di chiusura e apertura ..., in poche parole di tutto quello che avviene all’esterno di essa. Anche il Ch’i, guidato dal pensiero, gioca un ruolo importante per arrivare all’armonia fra interno ed esterno. Un ignoto maestro scriveva: “Coordinate bene la parte interna del corpo con quella esterna respirando in maniera naturale”. Un altro antico maestro, Li I Yu nel suo saggio Cinque parole segrete spiega che quando il Ch’i circola correttamente e quando l’energia mentale concentrandosi va dappertutto dandoci la piena consapevolezza di ogni parte del nostro corpo, allora le aperture e le chiusure si alterneranno correttamente, pieno e vuoto saranno chiaramente differenziati. Ciò significa raggiungere la perfetta unità fra interno (mente, pensiero, Ch’i e Shen) ed esterno (tecnica). Un’antica poesia recita questi versi : Nella quiete trova il movimento nel movimento trova la quiete Il suo vero significato è molto profondo e ci aiuta a capire cosa vuol dire raggiungere l’unità fra interno ed esterno nel combattimento. Queste parole vogliono mettere in luce che quando il corpo è fermo (oppure si muove molto lentamente) vi deve essere una intensa attività mentale, quando il corpo si muove rapidamente la mente si deve fermare. Naturalmente dovremmo aver ormai raggiunto il livello in cui il Ch’i va dove è necessario, senza l’intervento del pensiero. Se per esempio il nostro corpo sta attaccando l’avversario con rapide tecniche, la nostra mente non deve eccitarsi facendosi trascinare dal corpo, ma deve rimanere in quello stato di vero vuoto e di assoluta tranquillità che abbiamo già descritto. Il corpo sa ciò che deve fare, senza il nostro continuo interferire. Dobbiamo essere capaci di non agire su di esso. Nello stesso modo in cui non ci sogneremo mai di assumere consapevolmente il controllo del funzionamento del fegato o della rigenerazione delle cellule cerebrali, sapendo che organi e cellule possiedono istruzioni complete per la loro funzionalità, troppo complessa da seguire per la mente umana, così dobbiamo imparare ad astenerci, a smettere di interferire con il lavoro esteriore del corpo, lasciando che agisca nel modo in cui è fatto. La meditazione ci fa essere sensibili al flusso di energia ed è essenziale alla crescita spirituale. La sensibilità è il prodotto della concentrazione mentale. La concentrazione riguarda una precisa forma di pensiero e non va confusa con le sopracciglia aggrottate, i denti serrati, l’espressione perplessa. È un’attenzione non specifica. La tranquillità è un riflesso della quiete interiore che a sua volta è il perno delle tecniche spirituali. Una descrizione del processo mentale ci dice: “Un pensiero compare nella mente ed ancor prima di completarlo un altro vi si affaccia e un altro ancora. Così non ci concediamo alcun intervallo, che ci permetterebbe di essere liberi e di digerire veramente le cose” . Quando riusciamo a liberarci da questo meccanismo si prova un senso di sollievo, spesso una sensazione di grande fatica fisica, come se finalmente fossimo in grado di far riposare la mente dopo anni e anni di uso incessante. Creiamo lo spazio attraverso cui osservare il mondo e noi stessi, completamente liberi dal fardello della distrazione. La meditazione “insegna a lasciare che la mente sia del tutto aperta, a sentire il flusso dell’energia senza cercare di sottometterlo e senza lasciarlo sfuggire al controllo, ad andare alla struttura energetica della mente ... Tale pratica è necessaria generalmente perchè il nostro modo di pensare, il nostro modo concettualizzato di condurre la vita nel mondo o si sovrappone al mondo o è completamente incontrollato. Perciò la pratica della meditazione deve cominciare dallo stato interno dell’Io, dai pensieri discorsivi che continuamente percorrono la nostra mente, dal nostro chiacchiericcio mentale.” È scritto in un testo di meditazione: “un grande guerriero non ha opinioni, è semplicemente consapevole”. Essere guerrieri significa autopossedersi, avere un centro, essere consapevoli e vuoti. È uno stato particolare della mente che si focalizza sul momento, privo di dubbi e di varie speculazioni. “In un mondo dove la morte è il cacciatore, amico mio, non c’è tempo per il rimpianto o il dubbio. C’è tempo solo per decidere”. CORPO CONSAPEVOLEAll’inizio l’allievo deve concentrarsi sul movimento, imparare ad eseguirlo in scioltezza in maniera continua, senza interruzioni. Con il passare del tempo il movimento acquisisce una vita propria, un lento flusso e riflusso. Il corpo scopre la sua naturale forza e il flusso di energia traccia il suo percorso: alla fine diventa un processo automatico. In una strada affollata qualcuno vi spinge e, invece di irrigidirvi per opporre resistenza, vi arrendete con facilità, ruotando il bacino, completando il cerchio, liberandovi dall’accumulo di tensioni muscolari. PREDISPOSIZIONE DEL CORPO E DELLA MENTEUna mente vuota può essere una mente priva di conoscenza e assente, ma questo è un aspetto negativo che non prenderemo in considerazione. Il vuoto mentale di cui ci occuperemo si riferisce ad una mente ben presente, ma il più possibile libera da preoccupazioni e pensieri estranei. Anche il corpo deve essere rilassato, privo di tensioni muscolari ed articolari, perchè ostacolerebbero qualsiasi movimento naturale, rendendoci goffi e lenti. Un presupposto importante è quello di avere la mente calma, perchè le tensioni fisiche sono sovente la conseguenza di quelle mentali. L’allentamento delle tensioni deve essere conscio e dobbiamo imparare ad avere la consapevolezza delle parti del corpo contratte o rigide, cosa più difficile a farsi che a dirsi. La calma mentale, il rilassamento e la respirazione addominale sono strettamente collegati. È importante notare che le emozioni positive (serenità, gioia, entusiasmo, ecc.) sono collegate al rilassamento e quindi alla respirazione addominale(respirazioni lunghe e profonde), mentre quelle negative (rabbia, tristezza, paura, ecc.) provocano tensioni fisiche; allora il respiro sale e diventa corto e affannoso, la respirazione diventa toracica. Chi è perfettamente rilassato è un individuo felice o quantomeno sereno. [7] Dopo aver studiato a fondo ed aver appresto tutte le tecniche, sino a raggiungere un perfetto automatismo d’esecuzione, dobbiamo dunque cacciare via tutto dalla mente, in quanto il farlo ostacola ogni progresso. Ciò vale soprattutto per le applicazioni pratiche delle tecniche superiori in cui la consapevolezza di quello che si sta facendo rende difficile, se non impossibile agire con naturalezza. Le tecniche per essere perfette devono essere eseguite inconsciamente. È importantissimo però notare che per poter vuotare la mente dobbiamo averla preventivamente riempita di conoscenza, studiando e allenandoci per lunghi anni. Per unificare corpo e mente è necessario imparare a pensare al movimento e a muovere il pensiero. MENTE VUOTAMolti degli aspetti relativi alla condizione della mente prima e durante un combattimento sono state descritte nei paragrafi precedenti, tratti da testi più o meno antichi, relativi a discipline di arti marziali o testi filosofici orientali. Per noi occidentali questi testi risultano a volte poco comprensibili. Ad ogni modo quanto detto sopra può in una certa maniera farci capire alcuni concetti fondamentali necessari per l’esecuzione rapida dell’inizio di una tecnica: mente, pensiero, corpo rilassato. Vogliamo ora descrivere e puntualizzare alcuni di questi concetti. E’ risaputo che il corpo per apprendere un movimento ha bisogno che questo sia eseguito per lungo periodo, in maniera costante. Pensiamo all’azione di afferrare un oggetto: fin da piccoli ci esercitiamo in questa azione, all’inizio con movimenti goffi, in cui il bambino è però molto concentrato, ma man mano che l’età avanza questi diventano sempre più precisi, fino al punto in cui la nostra concentrazione sull’azione che stiamo facendo (prendere un oggetto) diventa del tutto irrilevante, possiamo occuparci di altro mentre afferriamo qualcosa. Credo che questo meccanismo sia analogo all’apprendimento di qualsiasi tecnica di Kung Fu. Mentre però nella vita di tutti i giorni esercitiamo l’azione dell’afferrare, non altrettanto costantemente riusciamo ad esercitarci nella specifica tecnica della disciplina marziale. Quest’ultima richiede continuamente la nostra motivazione ed un obiettivo ben determinato da raggiungere per spronarci nella costante ripetizione dell’allenamento. Però il solo ripetere tutti i giorni la tecnica a volte può non portaci alla sua esecuzione come vorremmo che sia. La ripetizione dell’esercizio deve essere sempre accompagnata dal pensiero cosciente, cioè dalla continua concentrazione verso quello che stiamo facendo, attraverso l’analisi delle sensazioni che proviamo durante l’esecuzione del movimento o della tecnica. In una situazione in cui è richiesto il confronto fisico la mente deve rimanere calma allo scopo di rilassare tutto il corpo, muscoli ed articolazioni, evitando inutili irrigidimenti. Questi non farebbero altro che ostacolare il successivo movimento. Infatti sappiamo che i muscoli agonisti che ci fanno compiere quel determinato movimento si contraggono, mentre i muscoli antagonisti rimangono (o dovrebbero rimanere) decontratti, in quanto una loro contrazione impedirebbe il movimento o quantomeno lo rallenterebbe. Un movimento risulta veloce quando i muscoli agonisti si contraggono rapidamente, mentre gli agonisti rimangono rilassati, decontratti. Il pensiero quindi ci guida verso la scoperta di particolari sensazioni, nuove quanto si voglia, ma che ci fanno sperimentare la consapevolezza del controllo del nostro corpo, decidendo quali sono i muscoli che si devono contrarre e quali devono rimanere rilassati. Un tale tipo di pensiero richiede molta concentrazione, in quanto continuamente siamo chiamati ad ascoltare le sensazioni che in nostro corpo ci invia, correggendo eventuali imperfezioni nel movimento; non sempre però siamo in grado di comprendere quanto il corpo dialoghi con la mente. Durante questo tipo di allenamento riusciamo a costituire i corretti meccanismi neuromuscolari per l’esecuzione di quel particolare movimento. La mente sarà comunque vigilante, attenta a quello che gli succede intorno, ma senza per questo eccitarsi o inibirsi . Un combattimento viene condizionato dal grado variabile degli stati d’ansia. Questi sono una componente necessaria dell’eccitabilità e talvolta è difficile distinguerli dall’eccitabilità stessa. Esiste comunque un punto della scala ascendente dove viene raggiunto un grado di iper-eccitabilita, dal quale l’ansia influenza in maniera negativa lo scontro. Tutti gli stati d’ansia sono accompagnati da tensioni fisiche. Quando lo stato d’ansia supera il livello di eccitazione positiva, la tensione che l’accompagna può essere definita nevrotica. Qualche volta può succedere che la tensione nervosa deriva dal fatto di essere bloccato fra la reazione di lottare oppure di fuggire, con una parte di se stessi che vuole essere là ed una parte no. L’ansia stimola la reazione a fuggire, ma ciò viene bloccato dal proprio desiderio di lottare (o gareggiare). Significa che si stanno utilizzando una serie di reazioni per dominarne un’altra, ed il risultato finale è come premere il piede contemporaneamente sui pedali del freno e dell’acceleratore ...[8]. Spesso questo blocco psicologico viene accompagnato da un evidente stato di disagio fisico. Lo stato d’ansia si presenta sotto molti aspetti, in particolare nelle sue manifestazioni fisiche molto vicine alla rabbia, in cui almeno per un instante viene sperimentato un blocco di tensione e la persona in collera non solo vede rosso, ma anche si colora visibilmente di rosso. La cosa interessante è che quando la tensione si sblocca, la prontezza e la chiarezza della percezione possono a volte rimanere, in modo tale che uno sportivo che si trova in questa situazione può improvvisamente trovarsi ad avere un’esperienza di punta, dove ogni cosa scorre nel verso giusto e sembra si sapere una frazione di secondo prima ciò che accadrà poi. [8] In alcuni soggetti l’eccitamento di un probabile combattimento produce forti scariche di adrenalina. Tale sostanza alza il livello di risposta neuromuscolare, ma se, come abbiamo detto la quantità è elevata, non riusciamo più a impedire che la muscolatura si contragga anche se non effettua alcun movimento. Come visto sopra quindi la muscolatura contratta impedisce di fatto ogni movimento o almeno lo rende più lento. VISUALIZZAZIONEUn valido aiuto per consentire al corpo di apprendere movimenti anche complessi ci viene dalle tecniche di visualizzazione. È una tecnica che consiste nell’usare la nostra immaginazione per realizzare quel particolare movimento o tecnica. CONCLUSIONIEsistono alcuni sistemi per annullare o almeno attenuare gli stati d’ansia, dei quali però non parleremo in questa sede. Mi preme sottolineare ancora una volta come sia importante che la mente sia si cosciente di quello che sta accadendo ma ciò con il dovuto distacco, cioè senza farsi prendere dall’eccitazione incontrollabile con le sue conseguenze negative. Ecco quindi che nell’attimo prima del combattimento saremo perfettamente calmi e tranquilli. Dopo questa esposizione teorica è necessario passare, in modo graduale, ad alcuni esercizi pratici che ci permetteranno di predisporci al giusto grado di rilassatezza, a prevenire le forti emozioni di un confronto fisico, riuscendo a far venire fuori le nostre emozioni, a conoscerle, ad accettarle, ed infine a neutralizzarle, senza però nasconderle e reprimerle. 13. BIBLIOGRAFIA
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